Emanuele Piccardo
Anni veri di pubblicità, ma che cosa resterà
Anni allegri e depressi di follia e lucidità
Sembran già degli anni 80 per noi quasi ottanta anni fa
Raf, Cosa resterà degli anni 80, 1989
Questa riflessione sull’architettura degli anni ottanta inizia con la citazione della famosa canzone pop di Raf Cosa resterà degli anni 80 in cui tra una rima e l’altra il cantante rappresenta la realtà di un periodo storico denso di avvenimenti anche sul fronte architettonico, espressione della crisi della società. Se il decennio sessanta-settanta aveva evidenziato le istanze dei giovani studenti nei confronti dei baroni universitari, con le prime occupazioni nel 1963 delle facoltà di architettura, se il ’68 aveva certificato la spaccatura tra il mondo operaio e il resto della comunità, insieme alla opposizione dei giovani di tutto il mondo alla guerra in Vietnam, il 1980 si apre con la rivendicazione del ruolo centrale della storia come paradigma del nuovo linguaggio architettonico. L’ esempio principale è la Biennale di Architettura di Venezia diretta da Paolo Portoghesi che si inventa la Strada Novissima, revival storico dove invita altri architetti a realizzare, secondo il loro credo, una idea di architettura rappresentata dalla facciata di un edificio, una citazione della Strada Nova veneziana, che dalla stazione ferroviaria conduce a Rialto.
Postmodern rassicurante
Quando il postmodernista Portoghesi deve organizzare la mostra manifesta la presenza del passato attraverso la realizzazione del tipico carattere urbano italiano, la facciata. Una serie di facciate di case progettate come una sorta di manifesto: da Costantino Dardi, OMA, Michael Graves, Frank O.Gehry, Taller de Arquitectura, Oswald Mathias Ungers, Charles W.Morre, Robert Venturi-John Rauch-Denise Scott Brown, Robert A.M.Stern, Lèon Krier, Purini&Thermes, Josef Paul Kleihues, Stanley Tigerman, Hans Hollein, Studio Grau, Massimo Scolari, Thomas Gordon Smith, Allan Greenberg, Arata Isozaki, Christian de Portzamparc. “L’apparato curatoriale immaginato per Strada Novissima -scrive la storica dell’architettura Léa-Catherine Szacka- non è focalizzato solo nella rappresentazione dell’architettura ma anche nella sua sperimentazione -una sorta di laboratorio nel quale sono ricostruite le condizioni urbane artificiosamente come risultato di una tecnica scenografica usata per mettere in contatto il pubblico con l’architettura”, non dissimile dalle scenografie di Cinecittà. Non dobbiamo dimenticare che l’architettura dopo il 1968, con l’esplosione delle neo-avanguardie radicali, in particolare di Archizoom, Superstudio, UFO, è in una crisi profonda di temi e contenuti. Così non è casuale il ritorno della storia, in una dimensione contemporanea allo sguardo di Leon Battista Alberti nel suo De Re Aedificatoria, dove l’architetto genovese pesca gli elementi dell’architettura classica, greca e romana e li attualizza all’età rinascimentale.
In Italia il postmodern ha influito negativamente nella costruzione delle città e delle periferie italiane. Se da una parte c’è stato un postmodern colto e ideologico, rappresentato da Portoghesi e dai fratelli Krier, dall’altra si è sviluppato un postmodern inconsapevole, praticato da ignari e incolti progettisti (geometri ma anche architetti e ingegneri) che hanno costruito villette unifamiliari ed edifici pubblici ricchi di un manierismo architettonico fatto di archi, colonne, trabeazioni. D’altronde il postmodern se letto come richiamo alla storia è ancora vivo e rimane la causa per una mancata evoluzione culturale della nostra società, poco aperta al contemporaneo, essenzialmente per una necessità primaria di abitare all’interno di una confort zone che non altera un pensiero e uno stile di vita consolidato. Tra i primi postmoderni l’unico caso studio differente è rappresentato da OMA lo studio fondato da Rem Koolhaas nel 1975, il cui pensiero teorico è generato dalle neo-avanguardie radicali, a partire dalla rilettura della metropoli americana nel libro Delirious New York.
Deconstructive architecture
Gli anni ottanta hanno anche determinato la nascita del movimento della deconstructivisme architecture, ispirata in parte alle teorie filosofiche di Jacques Derrida, che ha avuto il suo apice nel 1988 con la mostra al MoMA curata da Philip Johnson e Mark Wigley. Vengono esposte le architetture di Frank Gehry, Daniel Libeskind, Rem Koolhaas, Peter Eisenman, Zaha Hadid, Coop Himmelblau e Bernard Tschumi. “Il progetto di questa mostra- scrive Johnson nel catalogo- segna una sensibilità diversa, quella in cui il sogno della forma pura è stato turbato. La forma è stata contaminata. Il sogno è una specie di incubo. È la capacità di disturbare il nostro pensiero sulla forma che rende questi progetti decostruiti”.
Il decostruttivismo rimane il nuovo linguaggio che de-struttura la tradizione per creare nuove forme, partendo dal costruttivismo russo. L’avanguardia russa ha rappresentato una minaccia per la tradizione rompendo le regole classiche della composizione in cui le relazioni equilibrate e gerarchiche tra le forme creano un insieme unificato. La destrutturazione del linguaggio razionalista verso un approccio meno rigido e più libero fatto di angoli acuti e curve definisce un nuovo modo di fare architettura. Una vera rivoluzione dagli esiti altalenanti, tra Frank Gehry che lavora sui frammenti per ricomporli in insiemi omogenei, e Bernard Tschumi, che in quegli anni progetta il Parco de la Villette a Parigi, dove l’atteggiamento è più razionale e vicino alle neo-avanguardie radicali.
Un discorso a parte riguarda le architetture di Zaha Hadid che prima scompone la linea retta in spezzata per poi andare nella direzione della linea curva che tutto avvolge come carattere paradigmatico della sua ricerca. Ma postmodern significa anche emanciparsi dal citare la storia dell’architettura classica riproponendo gli stessi elementi architettonici, come avviene per Rem Koolhaas che assume un atteggiamento teorico vicino a Le Corbusier. Non è un caso che l’architetto olandese, insieme ad Eisenman nella sua ossessione per Giuseppe Terragni, sia uno dei pochi teorici dell’architettura degli ultimi quarant’anni.
In fondo siamo tutti abitanti della postmodernità, senza cadere nella nostalgia della storia ma rileggerla per attualizzarla. Un processo attuato da Le Corbusier, durante il suo Voyage en Orient, per poi elaborare il manifesto dei Cinq points de l’architecture e Giancarlo De Carlo nel riprogettare
Urbino partendo dalla analisi urbana delle architetture di Francesco di Giorgio Martini.