Redazione

Quanto accade in questi giorni va contro la libertà d’informazione ed espressione, e costituisce un’ondata censoria senza precedenti. È questione politica e culturale opporsi a questo atteggiamento. Perché alimenta l’incendio di un’emotività rabbiosa che va al di là di ogni giusta condanna della invasione russa dell’Ucraina. Si moltiplicano iniziative che nella loro sguaiata violenza censoria mostrano invece e soprattutto la pericolosità di una politica culturale interamente asservita al registro infantile delle emozioni, fatta di parole d’ordine che ha nefasti precedenti.

Il sindaco di Milano, Sala, ed il sovrintendente della Scala, Meyer, dopo aver preteso dal Maestro Valery Gergiev, direttore d’orchestra di fama mondiale, di prendere le distanze da Putin (pretesa estranea a qualsiasi contenuto artistico) non ricevendo risposta, lo hanno liquidato. Anche cavillando fra le tristi fattispecie dell’odioso reato d’opinione, nessuna di esse contempla l’atteggiamento tenuto dal Maestro Gergiev. Ad insinuare il dubbio sull’opportunità di affidare a Gergiev la direzione de “La dama di Picche” di Tchaikovsky, era stata la Cisl-Milano. In un comunicato sindacale gli aveva chiesto «una presa di posizione sull’invasione dell’Ucraina e sulla violazione dei diritti civili in Russia». Se la Scala e la Cisl hanno almeno emesso un comunicato stampa in merito, il comune di Milano, sul suo sito, non ha pubblicato nulla, né l’ufficio stampa, contattato, ha fornito un comunicato ufficiale. Una politica fatta di processi pubblici ed ukaz, insomma, in puro stile sovietico e zarista.

La rettrice della Bicocca, Giovanna Iannantuoni, venuta a conoscenza di un corso del prof. Paolo Nori dal titolo “Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fedor M. Dostoevskij”, in un’email gli comunicava la decisione di rimandarlo. «Lo scopo è quello di evitare ogni forma di polemica soprattutto interna in quanto momento di forte tensione». Testuali parole. Alle rimostranze pubbliche del docente, rispondeva il prorettore Maurizio Casiraghi: il corso si sarebbe potuto fare, ma parlando anche di un autore ucraino – una pezza peggiore del buco, nel metodo ispirato al politicamente corretto (che mai come in queste occasioni mostra tutta la sua pericolosità). A quel punto il docente decideva di svolgere il corso altrove. Una beffa soprattutto alla memoria di Dostoevskij, a suo tempo inviato in Siberia proprio per le sue idee.

Due vicende che uniscono la meschinità al ridicolo, in un momento che richiederebbe ben altro spessore politico e culturale, oltre che etico. Ma il peggio è venuto dal Ministero dell’Università e della Ricerca, che in una circolare inviata ai docenti ha chiesto loro «di censire e comunicare entro lunedì prossimo 28 febbraio, eventuali progetti attivi in corso o in fase di attivazione con la Russia. Vi chiederei di rispondere con urgenza (possibilmente entro le ore 12:00 di lunedì 28 febbraio)». Le prime truppe russe sono entrate in Ucraina il 24 febbraio. Mai vista tanta rapida sollecitudine da parte del MIUR! Quale lo scopo di questa esortazione a farsi delatori da parte di docenti e ricercatori?

A questi fatti si sono aggiunti il bando per gli atleti russi alle Paraolimpiadi di Pechino (alla faccia di ogni inclusione!), il bando di editori russi ufficiali alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna, la cancellazione da parte del Festival della Fotografia Europea di Alexander Gronsky (poi arrestato a Mosca per aver dimostrato contro la guerra), e molte altre iniziative di questo tono, inedite e mai applicate prima verso nessun altro paese macchiatosi di guerre sotto svariati pretesti.

Giunge infine notizia che anche la stessa Federazione internazionale felina ha bandito i gatti russi dai concorsi. E non è una boutade.