Katia Ippaso

Piccolo piccolo mondo, talmente piccolo che si fa fatica a percepire un battito di vita organica, a trovare il resto di un corpo ancora vivente, o morente, sul campo di battaglia. Una politica ridotta a pratica del consenso travestito da conflitto si elettrizza attorno all’ “affaire Fedez”, estenuandoci con i punteggi parziali di partite claustrofobiche che paiono giocate a flipper: Fedez 1, Rai3 zero; Fedez ko., Rai 3 si prende la rivincita. Tutti sono chiamati a intervenire sui maggiori mezzi di informazione, persino Pippo Baudo lancia la sua bolla papale. Di che cosa stiamo parlando? Della censura che il rapper avrebbe subito da parte della Rai per la messa in onda del concerto del primo maggio a cui Fedez aveva partecipato. La parte del testo incriminato riguarda il riferimento a parole oscene pronunciate da esponenti della Lega, espressioni che non possono suonare di certo innocue come “Se avessi un figlio gay lo metterei nei forni”, che Fedez aveva riportato nel suo speech dal palco di piazza San Giovanni, a Roma. La Rai voleva chiedere al rapper di non fare nomi e cognomi. Il fatto ha una sua consistenza e bastava riportarlo così com’è. Ma cosa fa poi Fedez? Diffonde sui social la telefonata con la vicedirettrice di Rai 3. Non riportiamo il testo di quella conversazione rubata perché, come garantisti, siamo contrari a qualunque abuso: intercettazioni, telefonate registrate all’insaputa dell’interlocutore, sono degne di un sistema di polizia e non di una società democratica. E poco importa il colore politico dell’azione, che rimane indegna. La rissa prosegue con finti spargimenti di sangue da mattina a sera, facendoci rimpiangere i tempi in cui la censura si scatenava su opere che in sé portavano il fuoco della non conciliazione, la ruvida intrattabilità di una materia refrattaria al fast food. Un titolo per tutti: Salò e le 120 giornate di Sodoma di Pasolini, che neanche la morte violenta del suo autore riuscì a ridurre a cenere consensuale. Francamente, oggi chi può aver paura di Fedez e della sua consorte, l’influencer Chiara Ferragni? Tutti li vogliono, tutti li corteggiano, dagli Uffizi agli show di prima serata. Quale opera di disturbo possono mai esercitare? Riguardo poi la questione di diritti civili, è vero che c’è ancora molta strada da fare, e va bene che anche Fedez e Ferragni se ne occupino, ma siamo così stanchi di combattere da ritirarci nelle nostre case limitandoci a seguire online la partita a flipper? Tra la rissa esangue – trasmessa su un canale sempre acceso – e il conflitto, non è possibile alcuna mediazione. Tra l’opulenta società dell’opinionismo e l’esperienza reale del tragico non c’è che il corpo ferito. Per questo, ci assale il desiderio di esercitarla veramente una censura. Contro questo brutto spettacolo che ci fa sentire animali in gabbia: deprivati di ogni diritto ad una parola aspra, nostalgici di una scena talmente bella e cruda da rendere impossibile la masticazione, impensabile la digestione.