Roberto De Angelis

I rap paralleli nella periferia est romana

Il caso milanese della scena trap di San Siro si è praticamente configurato in questi ultimi tre anni, con artisti da poco maggiorenni. Nell’area metropolitana romana le forme espressive dell’hip hop erano circolate nelle periferie più problematiche per condizioni sociali, i quartieri di edilizia residenziale pubblica. Questo rap di strada, come ho già detto, non aveva relazioni di sorta con quello militante che cominciava a diffondersi nel movimento studentesco e nei centri sociali occupati, e non poteva avere allora la stessa capacità d’impatto pur su quei territori dove comunque aveva un forte radicamento. Le eco-culture restavano tali, cioè coatte nei propri quartieri non potendo disporre della onnipotenza espansiva del web.
Per rinvenire un’esperienza di radicamento territoriale sono costretto a riferirmi ad un gruppo attivo soprattutto dieci anni fa, ormai agli epigoni per la morte violenta dei due rapper che ne erano stati i protagonisti indiscussi. Il gruppo ODEI (Orgogliosi di essere italiani) di Tor Bella Monaca, quartiere di edilizia pubblica sorto nei primi anni ’80 per 30.000 abitanti a 20 km dal centro sull’asse della via Casilina. La concentrazione nel quartiere di disoccupati e di lavoratori intermittenti in grandi difficoltà economiche ha facilitato negli anni che si costituisse una delle più grandi piazze di spaccio del paese. Un alto numero delle abitazioni sono occupate abusivamente e centinaia di famiglie sopravvivono alternando attività legali ed illegali. A differenza di Milano in tutti i grandi complessi di edilizia pubblica sparsi per il paese del centro-sud (ad esempio Roma, Napoli, Palermo), la presenza dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie è minore in percentuale, e costretta ad una umiliante invisibilità. La criminalità locale che utilizza i giovani disoccupati ed evasori dell’obbligo scolastico del luogo non tollera forme di aggregazione sullo spazio pubblico, neanche un’affermazione culturale, simbolica delle minoranze di giovanissimi italiani di origine straniera. A Roma c’è invece una forte visibilità dei migranti nei rioni e nei quartieri semi-centrali. Collettività insediate regolarmente nel mercato degli alloggi in affitto, ma anche di proprietà. I casi dell’ Esquilino del Pigneto e di Torpignattara. Le serie televisive di Gomorra hanno costituito il modello egemone di identificazione giovanile. Ne è una riprova il fatto che presso le scuole l’ascolto è pressoché generalizzato per i cantanti neo-melodici, misconoscendo l’attività di singoli rapper e piccoli gruppi comunque operanti nel territorio e presenti sui social.
Il rap militante della periferia est di Roma, in particolare dell’asse Prenestino, si è mosso come protagonista nei conflitti del territorio, senza alcun contatto con quello di strada.

Il gangsta tragico delle Torri

I rapper del gruppo ODEI hanno delle culture di strada il vissuto personale difficile delle classi popolari metropolitane, segnato spesso dall’esperienza del carcere e l’aspirazione ad esprimere un protagonismo espressivo che conquisti rispetto e possa costituire un’opportunità economica. Sono autoctoni che non solo non hanno l’imprinting della liminalità transculturale così feconda per i ragazzi di San Siro, ma la paventano, anche se (nonostante l’acronimo di cui si fregiano) non hanno fatto mai pezzi contro la realtà dell’immigrazione, se non qualche generico riferimento contro “i clandestini”. Gli ODEI si esprimono nel romanesco delle periferie, mentre i ragazzi di San Siro mostrano una originale creazione linguistica. Gli spazi di Tor Bella Monaca poi non vengono mai rappresentati nei video dei rapper romani. Del resto I cortili affollati di ragazzini a San Siro, presenti nella maggior parte dei video milanesi, non hanno alcun corrispettivo né a Tor Bella Monaca né negli altri quartieri pubblici romani. Ogni complesso di caseggiati dispone di ampie corti, ma vi regna costantemente il deserto, nonostante sia il quartiere con il più alto numero di minori rispetto al resto della città. Molti video su San Siro mostrano attività criminali connesse allo spaccio, facendo sfoggio di armi, in una messa in scena più che altro di maniera, mentre gli ODEI non vi fanno mai cenno. Mancano le ambientazioni relative agli spazi pubblici, alla realtà delle torri di 15 piani stipati di alloggi popolari, nessuna scena familiare o racconti biografici. Ne emerge la narrazione di una cultura di strada che celebra come valori la forza fisica, l’omertà e la fedeltà verso gli amici, una critica al sistema con talvolta propositi eversivi, tipici dell’estremismo rituale degli ultras. Gli interni di una palestra di boxe sono i luoghi preferiti come sfondo per i pezzi, dove Pepy rap, er Gitano, Jon esibiscono i loro corpi possenti, palestrati, iper-tatuati, sempre con posture e atteggiamenti aggressivi.
Palestre di boxe popolare si trovano un po’ in tutti i quartieri più difficili con il fine di attrarre i ragazzi costretti alla vita e ai traffici di strada (a Roma a Corviale, Quarticciolo, a Napoli Scampia). Persino la palestra di boxe frequentata da Loic Waquant nel ghetto nero di Chicago dette un’opportunità di recupero a tanti giovani che gli raccontarono di essere altrimenti destinati a morte sicura. Nulla di tutto ciò nella palestra degli ODEI che intendono solo incutere terrore a fantomatici nemici.
Il pezzo A testa alta del 2009 mostra una rappresentazione nel video di un “gangsta” italiano trent’anni dopo quello nero americano. Auto e moto potenti sgommano, ragazze succinte ed in silenzio abbracciano i “machi” sulla scena. Pepy rivendica in rima i suoi trascorsi in carcere, attestato di appartenenza alla strada, ma tutto il pezzo è centrato sulla denuncia dei principali mali da combattere determinati dall’assurdità di un sistema che permette a clandestini e stupratori di farla franca impunemente. L’acronimo della crew ODEI come bandiera contro il pericolo dell’invasione pretestuosamente paventata per motivi elettoralistici dalle forze politiche della destra reazionaria: «Ora tocca a te vero macho italiano / Io non son il solito buffone freak americano / (…) La cosa più importante non la dimenticare / Stupratori clandestini e viscide puttane / Dall’Italia uno al giorno dovrebbero cacciare / (…) / In ogni angolo di strada la potrebbero stuprare / Leggi di merda che ci sono in questo stato / Tu rubi per la fame e vieni arrestato / Tua figlia hanno stuprato / Neanche un anno di galera lui s’è scontato / (…) / Cinque anni e otto mesi al gabbio l’ho pagati / A testa alta tutti l’ho pagati / Nun me so bastati un plotone d’avvocati». In La Minaccia Pepy esplicita le sue retoriche pulsioni eversive come giustiziere per la condizione nella quale sono costretti gran parte di coloro che come lui vivono nelle periferie: «Rabbia per questa situazione / Pacco bomba allo stato / Sotto falso nome la distruggo questa merda de nazione / (…) / Noi nati dentro sti quartieri ste borgate / Sti rioni con il ruggito dei leoni e il pianto dei neonati / Chiusi dentro strip e fabbricati come carcerati / Come sento urlare la disperazione delle madri / Dove la droga gira a passo a passo con la noia / E per le strade contro i sogni / E affianco alle carcasse abbandonate».
Pepy aveva sperimentato il carcere in più occasioni, trascorrendovi vari anni, come i neri americani dei ghetti deprivati. Prima aveva tentato di emergere nello sport, fermato da incidenti stradali e poi nel rap. Si schiantò con la sua 500 truccata in un ennesimo incidente nell’agosto 2011.
In Non credo del 2010 Pepy sullo sfondo di sue foto fisse nelle quali si mostra con muscoli tesi e tatuaggi invita un immaginario interlocutore a lasciare la dipendenza: «Vedi nun fa er matto io me so aggiustato / Cerca di mollare o finisci sotterrato / Credi in te stesso / Così me so salvato».
In Attacco al potere del 2011 Pepy si mostra sempre a torso nudo mentre solleva pesi insieme ad altri giovani, seguaci di un culturismo fisico che non ha più nulla di quello olimpico dei film di Hollywood. Tutti hanno il solito sguardo torvo. Il tema del pezzo è decisamente eversivo, ma a mio avviso senza una reale consapevolezza, come avviene nelle forme espressive degli ultras negli stadi: «A questo sistema ci dobbiamo ribellare / Da soli è difficile pensare / Di cambiare il mondo / Come lo zio Sam chiamo il popolo alle armi / Guerra allo stato con raid notturni / Guerriglia urbana se ci sei fatti avanti/ Hasta magnana diventeremo grandi / Uscire dalla massa come sogno della vita / Essere famosi per una giusta causa / I sogni di gloria diventano reali / Nei libri di storia come i cavalieri / (…) / Facciamolo vedere di che pasta siamo fatti / Tutta l’Italia contro sti pupazzi / In giacca e cravatta distruggono il paese / Voglio vedere le loro teste appese / Questo è quello che vogliamo / Come prima mossa / Bruceremo il Senato».
Il pezzo Gi.ta.no di Er Gitano del 2010 esemplifica bene il tema più ricorrente tra gli ODEI: quello di essere i più temibili del quartiere. La parte video è costituita da qualche foto di er Gitano con sguardo torvo: «Ogni volta che parlerai de me / Fatte er segno della croce a fraté / Nun se sa mai / Solo co no sguardo io te faccio cadé / Te faccio temé / Che è la fine pe te / E nun me serve er fero / pe dimostratte che / Te levo la vita e nessuno lo viè a sapé / Mettete in guardia e te lo faccio vedé».
Il pezzo collettivo di Pepy, er Gitano e Jon A mani nude del dicembre 2010 è la vetrina di tutti i palestrati di ODEI che affermano la loro preminenza sul territorio ed in particolare dirigono scherno e minacce contro quanti si atteggiano a rapper “gangsta”, solo gli ODEI sono “la strada”: «A gente che ce vede strippa / Te invitamo a viso aperto qui nelle borgate / Facci vedè si sei esperto o campi de cazzate / Ti aspettamo a mani nude oppure a mani armate / So parole vere e crude nun solo reppate / (…) /State attenti a quello che reppate sur microfono / Quello che pensi dimmelo ar telefono / Spari cazzate artro che pistole / Vuoi fare er gangsta? La tua vita non commuove / Sei un fijo de papà vestito da giullare / Su fa er bravo rimettiti a studiare / Ch’è a cosa mijore che potresti fare».
Pepy si schianta con la sua auto veloce e lascia un vuoto profondo nel gruppo. In pieno centro presso la stazione Termini verrà ricordato con un presidio con fiaccole e lumini, con tanti fan in ascolto dei suoi pezzi sparati ad altissimo volume dallo stereo di un’auto.
Il pezzo come Rest In Peace per Pepy Uomo d’acciaio del maggio 2012 è un’esaltazione corale, in particolare da parte di er Gitano e Jon, dell’amico che più aveva incarnato i caratteri distintivi degli ODEI per ribadire una dominanza assoluta sul territorio. Ma in effetti si tratta di una rappresentazione di preminenza sul quartiere meramente simbolica, perché sono i clan criminali ad avere il controllo di una delle più importanti piazze di spaccio di tutto il paese: «Inedita la forza che me davi tu / Quando me spegnevo e nun me amavo più / Pepy sotto pelle tra le sette stelle / Musica da celle parole brutte e belle / Quelle parole che te rendono vincente / Grande e prepotente che conquistano la gente / Eccessivo in ogni gesto nun chiedi mai permesso / Godi solo quando l’avversario è sottomesso/ Logica de vita che ho assorbito de riflesso / Questo è Peppe e me manca lo confesso / (…) / La notte che scivola intorno / È così che si muore / L’uomo d’acciaio non teme la morte / Un lampo una luce e poi niente / E poi niente».
Er Gitano si suiciderà usando la pistola detenuta illegalmente alla fine di febbraio 2012, e solo pochi giorni prima insieme a Jon avevano messo in scena in Giustizia fai da te l’esecuzione a colpi di pistola di uno stupratore, portato a morire nel terreno di uno sfasciacarrozze. La punizione degli stupratori è un topos della stessa cultura criminale nelle carceri: «Noi pe stada pe campà te pe strada pe abusà / Nun la devi da toccà io te sto a venì a pijà / So commosso dentro a un fosso questo è il posto che ti offro / Resto scosso questo è il costo mo diventi carta inchiostro / (…) /Giustizia fai da te / Fai da solo fai pe tre». Tra gli ODEI ha un ruolo importante anche Jon, italo-tunisino, da minorenne in casa famiglia, a 18 anni la prima carcerazione, esce di prigione nel 2009 a 23 anni. Fa rap in francese, arricchendo di suggestioni le rime in dialetto. Jon è riuscito ad avere un certo successo anche a livello internazionale. Ha postato un video girato a Sidi Bou Said, il gioiello turistico tunisinino, conducendoci con devozione inaspettata dentro il sepolcro del santo.

La periferia est, quella all’interno del Grande raccordo anulare, meno lontana dal centro rispetto a Tor Bella monaca, è stata anche il territorio oggetto delle pratiche espressive di un altro giovane scomparso tragicamente. Saor, 29 anni, nato a Lima, segnato anche lui dalla liminalità transnazionale dei ragazzi dell’hip hop. È stato soprattutto un writer e in Casino der Casilino realizza un montaggio fantasmagorico del Writing illegale diffusissimo in zona nonostante l’invasione modaiola di pezzi di street art legale ormai dilagante: «In mezzo ai treni e ai palazzi / È la salvezza per noi ragazzi / Ho scritto perché tu leggessi me in ogni posto / In ogni via ad ogni costo / Il mio nome te l’ho imposto Casino der Casilino / Ogni via ogni posto a me adiacente».
Dentro una cadillac è un pezzo trap del 2018. Nell’incipit come stereotipo delle pratiche di strada c’è lo scambio di soldi e roba al quale lui stesso partecipa; poi con uno sfondo segnato dal Writing sempre con una ragazza accanto rima: «Vorrei sta con te dentro una Cadillac / Invece pe strada a vendermi l’anima / Vorrei sta con te mi cade una lacrima / Superpotere sparisco di colpo / Mi stanno cercando / Mi vogliono morto / Tattoo sul mio corpo / Se voglio ti crosso / Io sono il cane tu sei il mio osso /(…) /La vita qui è dura ma mando giù farmaci». Espone come in rassegna i tatuaggi che dal viso scendono su tutto il corpo, ci mostra in primo piano il pugno con le falangi con la scritta Fede. Al suo amore Federica nel 2018 dedica un pezzo-canzone con auto-tune spinto su un’unica immagine fissa di un volto horror:«Non sono più come prima / Sei tu che cambi il mio clima». Il 20 maggio 2019 sarà trovato in strada a Torpignattara stroncato da overdose.
I gruppi di rap nei quali era inserito Saor restano piccole crew che non hanno certo la rilevanza numerica della banlieue milanese.

Rap & antagonismo di cura

Parallelamente al rap più propriamente “di strada” diffusosi insieme al writing ed alla break dance presso adolescenti del sotto-proletariato urbano post-fordista dell’area metropolitana romana, le forme espressive dell’hip hop suggestionarono anche giovani di ceto medio acculturati e politicizzati nell’ambito dei movimenti studenteschi. Assalti frontali è il gruppo di rap militante che è attivo da oltre tre decenni, filiato da Onda rossa posse che nel Movimento della Pantera del 1990 riuscì a soppiantare tutte le altre forme espressive. Da allora ha ininterrottamente fatto concerti nei centri sociali occupati autogestiti, laboratori di controcultura diffusi in tutta Italia, caso unico rispetto a tutto il resto d’Europa. Sono stati presenti anche in tutti i contesti di conflitto. Affollatissimi i loro concerti di fronte ai penitenziari come Rebibbia a Roma o Le Vallette a Torino, per richiedere la liberazione dei No Tav. Fautori di mettere sempre al centro dei loro pezzi i temi del conflitto portato avanti dalle classi subalterne con attenzione serrata sugli avvenimenti politici del nostro paese. Sin dagli inizi polemizzarono aspramente con i gruppi che scimmiottavano il modo di vestirsi dei neri americani, l’uso dell’inglese e la genericità quando si trattavano temi come ad esempio l’antirazzismo. S’impegnarono per una rigorosa auto-produzione che li affrancasse dal circuito commerciale. In queste note intendo indicare come negli ultimi anni l’impegno artistico del gruppo romano, conseguentemente a quello politico e personale si sia andato a concentrare sull’asse della via Prenestina della periferia est. Tra la Casilina e la Prenestina insistono i quartieri del Pigneto e di Torpignattara, da alcuni anni soggetti ad una forte gentrificazione e speculazione, nonostante siano divenute le aree urbane dove la presenza dei migranti è densa e altamente visibile.
Gli Assalti frontali hanno fatto parte di un composito aggregato di comitati di residenti, movimenti, centri sociali che nel corso di lunghi anni hanno portato avanti una battaglia, vinta solo di recente, perché l’area industriale dismessa dell’ex stabilimento chimico Snia Viscosa fosse risparmiato da un progetto di cementificazione da parte della proprietà e divenisse un’area naturale pubblica. Durante i lavori di sbancamento per realizzare nell’area un gigantesco centro commerciale venne in maniera maldestra rotta la falda acquifera che correva prossima alla superficie (non a caso il toponimo di una piazza limitrofa è proprio “Acqua Bullicante”) e si determinò la formazione di un vero lago, che il costruttore non riuscì a prosciugare anche attraverso espedienti illegali. Il lago restò è divenne bene pubblico. Il pezzo Il lago che combatte del 2014 realizzato da Assalti frontali&Il muro del canto è ovviamente ambientato con lo sfondo del nuovo lago su cui incombe lo scheletro in cemento armato di un edificio che doveva essere ultimato. Nell’area naturale conquistata in anni di mobilitazioni ora si vedono canoe e ragazzini che giocano: «Palazzinaro amaro sei un palazzinaro baro / Per tutto il male fatto a Roma adesso paghi caro / Al funerale del tuo centro commerciale / È bellissimo vedere il nostro lago artificiale / (…) /Lì c’era una fabbrica di finta seta, la Viscosa/ C’era il capitalismo un’area gigantesca/ Ci lavoravano le madri, i padri e ogni scolaresca / (…) / Non è il Turano o il lago di Bolsena / Ha intorno 100.000 macchine e ognuna ha dentro il suo problema / In mezzo ai mostri de cemento/ St’acqua mo riflette er cielo / È la natura che combatte/ E ‘sto quartiere è meno nero».
La definizione di antagonismo di cura mi sembra ancora più calzante analizzando l’impegno caparbio che Militant A ha portato avanti sul tema dell’inclusione scolastica delle minoranze. Per lunghi anni ha partecipato alle attività dell’istituto Iqbal Masih, intitolato alla memoria del bambino sindacalista pakistano trucidato, che proprio sull’asse Prenestino-Casilino, si è distinto per l’accoglienza soprattutto dei minori rom con il coinvolgimento attivo dei loro genitori. Sulla via Casilina avevano insistito i due campi rom più estesi e popolati d’Europa, ormai sgomberati: Casilino 700 e Casilino 900. Il libro di Militant A Soli contro tutto è una cronaca appassionata del sostegno dato alle molteplici iniziative pedagogiche di Simonetta Salacone, la dirigente diventata punto di riferimento per le sue battaglie per una scuola inclusiva e realmente interculturale. Militant A aveva portato avanti nella scuola anche un laboratorio creativo di rap. Il pezzo Enea super rap è stato composto per sensibilizzare i bambini e non solo sul problema dei profughi e dei rifugiati politici. L’ultima parte del libro è la cronaca delle vicissitudini di alcune famiglie di rom romeni fatti sgomberare prima dal loro insediamento a Centocelle e poi da tutti gli altri luoghi presi a rifugio. La sinergia tra soggetti dell’antagonismo militante e della stessa istituzione scolastica, la direttrice stessa, permise alle famiglie rom di essere accolte dentro l’occupazione abitativa di Metropoliz. Le occupazioni abitative dell’area metropolitana romana sono un fatto unico per la loro diffusione, ospitano migliaia di migranti e di italiani sostenuti in condizioni di dignità da Comitati politici di lotta che ne difendono l’auto-gestione. I rom però non avevano mai trovato ospitalità come dentro Metropoliz; erano sempre stati considerati con sospetto per la loro “diversità” spacciata per irriducibile. La particolarità di Metropoliz ha polarizzato l’attenzione di centinaia di artisti che hanno voluto lasciare sui muri della ex salumificio una loro opera realizzando un eccezionale museo illegale: il Museo dell’Altro e dell’Altrove (MAAM). La direttrice Salacone scomparve prematuramente nel 2017, Militant A le ha dedicato un pezzo con la parte video girata dentro la sua scuola, Simonetta : «Simonetta, Simonetta tra i banchi / Simonetta, Simonetta ci manchi / Simonetta ma quanto sei funky / Averti a fianco c’ha fatto volare / (…) / Una ministra le intimò:/ «Ora basta al tuo posto!»/ Gente fascista le urlò:/ Fuori ad ogni costo!»/ Perché diceva:/«La pace si fa con scuola e dottori non con le bombe e i mitragliatori».

[versione rivista, originale pubblicata su: Tracce urbane, dicembre 2021]

Bibliografia

Cognetti F.-Padovani L., Perché (ancora) i quartieri pubblici. Un laboratorio di politiche per la casa, FrancoAngeli, Milano, 2018.
De Angelis R., Iper-periferie e culture di strada, in Cellamare C.-Montillo F. (a cura di), Periferia. Abitare a Tor Bella Monaca, Donzelli, Roma, 2020.
Lapassade G.-Rousselot P., Rap il furor del dire, Bepress Edizioni, Lecce, 2009 (ed. or. 1990).
Militant A-Assalti Frontali, Soli contro tutto. Romanzo non autorizzato, Editori Internazionali Riuniti, Urbino, 2014.
Waquant L., Anima e corpo, DeriveApprodi, Roma, 2002.