Roberto De Angelis

Tra devianza spettacolarizzata, gangsta tragico e antagonismo di cura

Ormai da quasi mezzo secolo le forme espressive dell’hip hop continuano ad essere diffuse in tutto l’ecumene. Il rap nonostante sia divenuto un genere musicale commerciale resta ancora sorprendentemente una pratica di auto-valorizzazione dei giovanissimi dei quartieri deprivati soprattutto delle grandi città. In Italia alla fine degli anni ’80 ci fu una infusione di questa vera cultura di strada dei ghetti neri americani in contesti urbani non in connessione: un hip hop veramente di strada recepito da giovanissimi dei ceti sociali deprivati delle grandi periferie metropolitane ed un hip hop che aveva suggestionato ragazzi di ceto medio e ad alta scolarizzazione. Azzardando una semplificazione il rap fu assimilato nella connotazione progressiva di Afrika Bambaata che invitava le gang dei neri ad interrompere le guerre fratricide per mostrare tutta la forza dell’innovazione culturale dell’hip hop. I ragazzini delle nostre periferie assimilavano i loro habitat ai ghetti neri prendendo coscienza della propria condizione e intravedendo una via di emancipazione diversa dalle pratiche di devianza. Il tema dell’antirazzismo fu uno dei più sentiti e fu un’anticipazione. Allora i migranti nel nostro paese erano meno di un quinto rispetto alla presenza attuale di cinque milioni di residenti regolari. Sul versante del movimento studentesco e dei centri sociali attraverso le rime del rap di questi ragazzi di ceto medio ed alti livelli scolastici si veicolarono tutti i contenuti dell’antagonismo con puntualità sui fatti nazionali ed internazionali come la guerra del Golfo.

Mi sembra che ancora oggi sia pertinente questa distinzione e mi riferirò nella mia analisi ad esempi di pratiche del rap in due aree metropolitane. Quella di Milano che considero la più significativa “di strada” e quella di Roma per le nuove derive del rap militante. Le situazioni per me significative sono le forme espressive rap/trap di soggetti che radicati in un territorio, una periferia urbana, fanno delle pratiche in essa messe in atto tema centrale del parlare rimato.

Anche restringendomi a territori specifici la numerosità di quanti praticano rap è sorprendente. Ci troviamo di fronte ad un vero arcipelago persino in uno stesso quartiere. La novità assoluta portata dalle nuove tecnologie in questi ultimi anni è la possibilità di veicolare sul web, in particolare su You Tube, i pezzi rap in video auto-prodotti. In questo modo si può ottenere una visibilità che frantuma confini di quartiere, di città, persino nazionali. Le ecoculture giovanili delle periferie, un tempo ristrette in un quartiere possono espandersi addirittura a livello transnazionale. I video dei pezzi rap permettono perciò un doppio registro di fruizione e di analisi: sui testi e sugli spazi. Benché interessato precipuamente alla funzione delle pratiche espressive in specifici gruppi e territori, non posso esimermi dalla citazione di frammenti dei testi, per restituirne la valenza creativa. In questo modo intendo fare omaggio a Georges Lapassade, col quale ho condiviso importanti esperienze di ricerca-azione sull’hip hop in Italia e in Francia, che scrisse un libro analizzando i testi del rap americano delle origini. Soffermarsi ad una astratta e schematica analisi del contenuto costituirebbe un inane riduzionismo sociologico. Le interviste che ho pubblicato nei miei lavori non potevano essere riassunte nelle poche linee interpretative che ero riuscito ad indicare da esse.

Trap e teatro della banlieue. 40 mq di San Siro

Il libro di Francesca Cognetti e Liliana Padovani su San Siro (2018) derivato da una lunga ricerca-azione interdisciplinare sul quartiere è purtroppo un caso quasi unico di un’analisi approfondita sugli insediamenti metropolitani di edilizia residenziale pubblica, che riguardano l’intero territorio nazionale. Lo studio, attento alla composizione sociale evidenzia un 40% di abitanti in povertà assoluta e la presenza di numerose famiglie di lavoratori stranieri, regolari assegnatari e occupanti abusivi. Sottolineando la rilevanza della presenza migrante nel quartiere, le nuove classi subalterne strumentali, transnazionali si limita ad analizzare associazionismo ed attività interculturali; si sceglie di non affrontare i temi della devianza e del conflitto che vede coinvolti questi nuovi soggetti ed in particolare i giovani di seconda generazione. Questa selezione è stata opportuna per non dare una sponda alla stampa reazionaria che ha stigmatizzato in maniera abnorme le forme di devianza presenti a San Siro come in tutti i contesti urbani deprivati. La stampa nel corso degli ultimi anni aveva denunciato il racket delle occupazioni abusive, il business di eroina e fumo gestito dai nordafricani e definito San Siro “la piccola Molenbek” per la grande concentrazione di arabi, il quartiere di Bruxelles che aveva ospitato numerosi terroristi. I migranti marocchini in tutte le regioni del nord sono stati per decenni la prima nazionalità, superata solo dai romeni neo-comunitari. Nei quartieri popolari di edilizia pubblica come San Siro è altissimo il numero di quanti provengono dai paesi del Maghreb, inclusi nel mercato del lavoro, ma in condizioni di mera sopravvivenza, Ne è derivata una seconda generazione, espressione impropria in quanto si tratta di cittadini italiani, oggi di adolescenti e di giovani adulti privi delle stesse precarie opportunità colte dai genitori e per questo entrati precocemente nel circuito penale per piccoli furti, rapine, piccolo spaccio, risse, resistenza e oltraggio alle forze dell’ordine. San Siro nel terzo millennio riproduce la realtà di una banlieue nostrana con molti punti in comune con analoghi contesti d’oltralpe (provenienza nazionale dei genitori, marginalità, legami parentali con abitanti delle banlieue e periodici scambi di visite). Se si considera in Italia il rapporto tra residenti e detenuti delle varie nazionalità i maghrebini detengono un primato indicatore delle difficoltà d’inclusione: i primi sono i tunisini al 2,26% (residenti 94.064 con 2.135 detenuti), seguiti dai marocchini per l’1,54% (420.650 residenti con 3.676 detenuti). Si deve tener presente però l’alto numero degli irregolari di queste nazionalità che certamente deve spingere ad una cautela di giudizio. I detenuti di seconda generazione a tutti gli effetti italiani non possono entrare in questa correlazione, ma debbono essere adeguatamente presi in considerazione per analizzare le criticità d’inclusione di certe collettività. Nelle regioni del nord l’incidenza di detenuti stranieri supera il 50%, mentre nelle regioni del sud come la Campania è al 14,1%. Ghali stesso, il più famoso trapper italo-tunisino cresciuto a Baggio, creatore di pezzi con più di cento milioni di visualizzazioni, ospitato al festival di Sanremo, seguito persino dai minori di strada stranieri non accompagnati che arrivano con i barconi, racconta di essere cresciuto praticamente senza padre. Lui poteva visitarlo in carcere una volta alla settimana.

Eppure San Siro per certi aspetti non è comparabile ai quartieri Ater romani come ad esempio Tor Bella Monaca. Quando nel 2015 proprio con la guida di Francesca Cognetti incontrammo abitanti e le realtà dell’associazionismo presenti al suo interno, mi resi conto che c’erano ancora edifici interi in attesa di essere assegnati o comunque occupati, mentre a Roma persino i sottoscala e i magazzini sono stati resi illegalmente abitazioni. A differenza delle banlieue uniformemente segregate sia a livello spaziale che sociale tutto il complesso Aler di Milano è prossimo ad insediamenti di pregio medio-alto. San Siro, Baggio, Quarto Oggiaro, Lodi, Lecco costituiscono un hinterland fortemente produttivo con le povertà concentrate a macchia di leopardo nei complessi di edilizia residenziale pubblica.

In questo quadro deve essere inserita la pratica del rap molto diffusa nel quartiere con implicazioni non di poco conto. Non ritengo azzardato considerare San Siro uno dei territori più importanti della “scena” nazionale del rap autenticamente di strada per la compresenza di varie componenti. Oltre a quella socio-economica a cui ho già accennato, ci sono il radicamento territoriale, il coinvolgimento in episodi di devianza e, soprattutto la liminalità transculturale, la multi-appartenenza elaborata costantemente nei testi fuori dalle retoriche correnti sull’etnicità, la stessa intercultura. La provenienza dal Maghreb dei giovanissimi italo-marocchini, italo-tunisini, è la più feconda in termini di creatività hip hop e non solo a San Siro. Comporre e performare pezzi rap oggi, postati sui social e con un feed back persino di milioni di visualizzazioni, costituisce una possibilità di protagonismo e di speranza di ascensore sociale, che comunque spesso affranca da derive criminali senza ritorno. Molti ragazzi di San Siro hanno mostrato una capacità di affabulazione poetica stupefacente, connotata da un’invenzione linguistica alchemica tra italiano, gergo, vocaboli francesi anche quando segnati da un precoce abbandono scolastico. Come gli adolescenti che nel 2005 misero a fuoco le banlieue francesi, quelli di San Siro non hanno né si riconoscono in alcuna forma di rappresentanza, in primis politica. Nei loro testi non c’è alcun riferimento, neanche critico, ad istituzioni come la scuola, la chiesa. Neanche un accenno di re-islamizzazione o di vicinanza alla criminalità organizzata, ma non per opportunismo omertoso bensì per una propria autonomia, elemento da non trascurare: contano solo su se stessi per la loro auto-valorizzazione. Il tema della loro identità, della multi-appartenenza liminale viene elaborato nei testi dove ricorre un “Io marocchino” declinato con accenni lirici, metaforici e contro ogni stereotipo.

Nelle rivoluzioni delle primavere arabe nel Maghreb tutte le forme espressive dell’hip hop hanno avuto una straordinaria rilevanza, eppure quelli di San Siro non fanno mai riferimento ai profondi conflitti sociali e politici che stanno ancora sconvolgendo i loro paesi di origine ed il Medio Oriente, dove il rap ha avuto un ruolo enorme nel rappresentare e veicolare le istanze delle masse in rivolta. Dunque un rap progressivo dall’impatto così potente da essere immediatamente silenziato. Il caso di El Général è il più famoso con il suo pezzo Rais Lebled (Signor Presidente del paese) scritto e diffuso subito dopo la morte di Mohamed Bouazizi nel dicembre 2010, il giovane tunisino che si era dato fuoco perché la polizia gli aveva sequestrato persino la sua povera merce con la quale faceva sopravvivere la famiglia. Quel tragico gesto innescò le rivolte delle primavere arabe. El Général si rivolse al dittatore Ben Ali con versi accorati: Signor Presidente, oggi parlo in nome di me e di tutte le persone/ Chi soffre nel 2011, c’è ancora chi muore di fame/ (…) Scendi in strada e vedi, le persone sono diventate come animali/ (…) Anche la legge della Costituzione mettila nell’acqua e bevila/ Signor Presidente la sua gente è morta che gli costarono il carcere, ma fu l’innesco della rivolta. Il rapper palestinese appena dodidicenne Mc Abdul fa un pezzo di 38 secondi con la divisa scolastica senza gli stilemi consueti nell’abbigliamento del rapper cantando fra le macerie di Gaza: Sono nato a Gaza City e la prima cosa che ho sentito/ E’ stata uno sparo/ Nel mio primo respiro ha assaporato la polvere da sparo/ Vogliamo un mondo che non abbia mai visto il terrorismo”. Per Dam nel 2011 Chi è terrorista?: “l tuo sogno è che noi diventiamo sempre meno/ Nonostante siamo già una minoranza/ Il tuo sogno è che la minoranza/ Diventi maggioranza nei cimiteri/ Chi è terrorista? Sono io terrorista?/ Come faccio a esserlo se vivo nel mio paese?/ Chi è terrorista?/ Sei tu!.

Il rap di San Siro è ormai totalmente nella versione trap e drill, con uso esasperato dell’auto-tune, dispositivo digitale che permette la correzione automatica dell’intonazione della voce che si trasforma in vibrata, robotica. Le linee melodiche suonate con sintetizzatori sono molto spesso cantate piuttosto che parlate come nei pezzi rap. I giochi di parole, le paronomasie mostrano un nuovo virtuosismo creativo linguistico con effetti surreal-dadaisti. Nel rap l’affabulazione è più incalzante, nella trap, le melodie hanno effetti ipnotici e possono arrivare a suggestioni dance.

Sono convinto che certi fatti di cronaca come alcuni tumulti scoppiati nel quartiere, debbano essere interpretati in maniera più complessa rispetto ai commenti allarmanti della stampa. Mi riferisco alla convocazione via social fatta dal trapper Neima Ezza in una strada di San Siro nel mese di aprile 2021 per lanciare un nuovo pezzo. Accorsero centinaia di giovani pur in tempi di divieti assoluti d’assembramento per il Covid, consapevoli che sarebbero stati ostacolati. I canti e gli arrampicamenti sulle auto in sosta non furono tollerati e la polizia in tenuta antisommossa intervenne. Seguirono lanci di sassi e lacrimogeni, il tutto ripreso dai cellulari e subito postati sui social. Una chiara se pur modesta emulazione dei moti delle banlieue nell’immaginario di tanti ragazzi italo-maghrebini della zona. Comparvero scritte sui muri come Baise la police, più ironiche di quelle francesi come Nique la police. Però a piazza Selinunte tutto avveniva alla luce del sole, i video postati costituivano addirittura una auto-denuncia e soprattutto le motivazioni erano incomparabili. Qui il lancio di un pezzo trap, là il pestaggio o l’uccisione da parte della polizia di un adolescente dei quartieri difficili. Alcuni pezzi riportano sequenze riprese col cellulare durante gli scontri. La spettacolarizzazione del conflitto era il vero progetto di performance collettiva ugualmente rischiosa ma funzionale ad una rappresentazione dello stesso, trailer per quei pezzi di trap importanti per il loro percorso d’inclusione.

A San Siro si è verificata una diffusione di praticanti rap/trap che non ha uguali a livello nazionale per radicamento sul territorio, perciò in maniera riduttiva rispetto alla realtà mi riferirò solo a due casi di trapper protagonisti di quella giornata di tumulti.

Amine Ezzaoui: Bruciano lenti sti palazzi Aler/ (…) /Bruciamo lenti ma il tempo qui scade.

Amine Ezzaoui ha trasformato il suo nome in Neima Ezza evocando la pratica gergale del verlan propria delle banlieue, dell’inversione delle sillabe; ad esempio tutti i giovanissimi di origini arabe si definivano beurs. Si era già rivelato da bambino un talento nelle sfide d’improvvisazione freestyle, ora si esprime in modalità trap. come tutti gli altri del suo giro. Gli scenari dei suoi pezzi sono sempre il quartiere, spesso con totali dall’alto e lui seduto con le gambe nel vuoto a rimare, oppure gli scarni androni e le scale delle palazzine Aler. i cortili dove i più piccoli giocano e guardano già per emulare i più grandi.

Neima Ezza non si sottrae a temi stereotipati propri della retorica sulla vita di strada e sfoggia senza camuffamenti il modo di sopravvivenza più diffuso non solo tra i giovanissimi dei ceti deprivati, cioè il piccolo spaccio. Amico del 2020 è un video sulle dinamiche di continui passaggi di mano della merce: Ho un amico, mi passa a prendere/ Due amici mi fanno da scorta/ Un paio di amici fanno il mestiere/ Tre amici morti per strada/ Ho qualche amico chiuso in galera/ Cinque amici ti fanno sparire/ Ho mille amici e sono nemici/ Quelli veri li conto su una mano. In Casa c’è la scena breve di una rapina con lui ammanettato dentro un’auto, ma hanno più grande rilievo le immagini di una signora col capo coperto, vestita in maniera tradizionale, sua madre, che sta in casa con apprensione e domina scene familiari negli ambienti ristretti e scarni delle case popolari.

Hey mama di maggio 2019 mostra una scena di vita familiare con al centro una signora che svolge le faccende, cucina e si mette in posa orgogliosa con i figli. I riferimenti alla figura materna sono evocati nei testi di gran parte dei trapper locali. Madri meritevoli di essere ripagate dei loro sacrifici e sempre in pena per la sorte dei figli a rischio. Non solo i tumulti sono esclusivamente maschili le donne non compaiono mai; quelle che si vedono nei video sono sempre all’interno della famiglia: sorelline e soprattutto madri con l’hijab, madri intente alle faccende domestiche, ad accudire i figli negli spazi angusti della casa popolare o con sguardo lontano e triste preoccupate per i rischi della strada. La rimozione come segno di rispetto. Anche il tema dell’amore e dell’erotismo sono del tutto assenti. Notevoli i versi: San Siro come Atlanta/ San Siro banlieue, Francia, mafia come il sud Italia/ Non respiro all’ora d’aria, ferite sulle braccia/ lacrime tatuate in faccia.

Amine del 2019 è ancora una volta girato dentro gli spazi ridotti di una casa popolare ed è un’evocazione delle difficoltà incontrate dalla sua famiglia, ma ora almeno Neima Ezza può dire di aver conquistato una considerazione: Vuoto il frigorifero, freddo il calorifero/ Ho giurato sulla vita, non torno più povero/ Gli altri mi snobbavano ora mi richiamano/ (…) / Io la muffa nel soffitto/ Sono sempre stato zitto/ non mi lamento certo c’è chi sta peggio/ Crescendo in certi ambiti/ Bambini con bei abiti/ In cinque in una casa; dove cazzo abiti?/ Quartiere di arabi, calabresi e napoli/ In mezzo agli ostacoli attendiamo miracoli.

Perif è uno straordinario documentario dove alterna brani rimati alla sommità di un palazzo e le immagini consuete del totale del quartiere dall’alto con il racconto della sua vita di fronte al portone dell’appartamento nel quale aveva vissuto con la famiglia prima di trasferirsi a Baggio. In questa casa di 40mq (lo stesso spazio rappresentato nel film di successo del 1986 del regista Tavfik Bader 40 mq di Germania sui drammatici problemi di una coppia di giovani turchi ivi ristretta) avevano abitato in cinque: lui, due sorelle e i genitori: C’è un bagno, una sala-cucina e una camera. Mio padre dormiva nella sala, noi nell’altra camera, non avevo i miei spazi, si dormiva sui divani o sui materassi per terra. L’aria era stratesa! Passavo tanto tempo fuori, ma non potevi tornare tardi, perché se no si svegliavano tutti. Mio padre doveva svegliarsi presto e aveva un lavoro faticoso, mia madre aveva la piccola con una disabilità (…) non potrà mai camminare. Abitare al quinto piano andava portata su e giù“. Ma senza rabbia o risentimenti, il tono è garbato: (…) Sono grato di essere cresciuto in questo posto; questa Perif sarà sempre casa mia e ora sto facendo il primo passo verso il mondo di fuori, un piede si muove verso il futuro, ma l’altro resta piantato qui. Nascere qui è una benedizione, ha i suoi pregi e i suoi difetti. Se sei sgamato ce la faremo. Se Dio vuole, Inshallah, ce la faremo, è un attimo che fotti il sistema!. Rende con pathos la sua storia collettiva presentandoci alcuni dei tanti casi dell’umanità resistente del quartiere: Arianna che cresce tre figlie e non gli fa mancare nulla; Ariuk a tredici anni fuori di casa, a ventiquattro domiciliari, Beccaria, San Vittore; Fabiana vende le collanine al compro-oro per aiutare i nipoti; Mohamed non ti lascia a stomaco vuoto se ti mancano i soldi per il kebab; Antonia e famiglia sotto sfratto da mesi che cercano un’altra casa da occupare. La seconda parte è filmata a Baggio di fronte alla uova casa popolare insieme a Samy un altro giovanissimo trapper che a 15 anni era già ristretto e nera rimasto segnato, al quale dà la parola: Mia madre e mio fratello erano in carcere, Beccaria. A quindici ho fatto il mio primo aggravamento e sono finito in carcere. Esperienze che mi hanno rafforzato. A diciassette anni voglio cambiarla la mia vita, voglio intraprendere questo percorso musicale, cercare di raccontare per cambiare la mia vita!. Per Samy come per lui la speranza in una possibilità di cambiamento, di miglioramento della propria vita sono riposte esclusivamente nelle loro mani.

Il pezzo più icastico di questa condizione espressa liricamente è per me Notre Dame. La consueta panoramica di tetti e palazzi con l’inserto della cattedrale in fiamme: Fumo le canne in mezzo alle campane/ No lieto fine in queste finte fiabe/ Bruciano lenti sti palazzi Ater/ Abituato non mi fa più male/ Aspetto solo in mezzo alle scale/ Bruciamo lenti ma il tempo qui scade. Straordinaria l’associazione Bruciano-Bruciamo.

Il secondo trapper protagonista del tumulto di devianza spettacolarizzata è Baby Gang, Zaccaria Mohuib.

Baby Gang: Ero un marocchino mangia cous cous/Ora un marocchino coi milioni di views.

Baby ha trascorso gran parte della sua giovane età tra case d’accoglienza ed istituti per minori devianti e carceri in varie parti d’Italia, al Beccaria avanti e indietro per 6 volte. A 11 anni la sua famiglia viveva in un monolocale. L’incontro con un sacerdote comprensivo gli ha permesso da ristretto di applicarsi alla musica. Segnato dalle sue esperienze, ne ha fatto un tema ricorrente nei suoi pezzi. La sua ricca produzione si è articolata su un doppio binario: a) racconto delle difficoltà della sua vita e di riflesso del quartiere, della condizione dei suoi coetanei e del processo di rivincita con la musica; b) rappresentazione più immaginifica che reale di pratiche di illegalità compiute esibendo armi da guerra, certamente sotto l’influenza delle serie televisive di Gomorra. I due generi sono cronologicamente compresenti per cui ad un pezzo pregevole sul piano evocativo ed artistico ne poteva seguire uno conformato su triti cliché di esaltazione delle attività illegali.

Treni ci restituisce le periferie sotto la neve, la situazione che mette più a rischio quanti non hanno una casa o quelli come lui che spesso si allontanano precocemente dalla famiglia: Da bambino giuro Baby dormiva sui treni/ Non tornava a casa perché portava problemi/ (…) /Mentre mamma mi chiamava e mi diceva: “Vieni”/ Ero dentro un vagone con 5 stranieri/ A te svegliava mamma/ A me 5 carabinieri/ (…) / Ero un marocchino mangia cous cous/ Ora un marocchino coi milioni di views/ (…) / Voglio portare a mamma un milione di fluss/ Perché qua in Italia vivi solo coi fluss.

Ritmo, melodia, auto-tune fanno di No jojo un pezzo addirittura dance con accentuati giochi linguistici scherzosi, ma anche qui non rinuncia a riferimenti biografici: No jojo zanga zanga sotto le popo/ Non fare il coco baby no jojo/ Halo baby sono qui sotto/ Porta la coca chica no jojo/ (…) /Dance trap pop rock drill/ Rap chill pop weed cash/ Drug rock my stress Miss Zebb/ La vita cambia prima ero in gabbia/ Ora la scena l’ho messa in gabbia/ (…) Ero povero così tanto povero/ Che mamma lavorava anche se c’era sciopero/ Se ritorno un povero Galera o ricovero.

Vari pezzi indulgono verso situazioni stereotipate nelle quali si esibiscono armi e movimenti collegati allo spaccio. I due pezzi realizzati con Simba la rue, altro trapper italo-tunisino, vorrebbero essere in sintonia con un certo immaginario conflittuale delle banlieue. i ragazzi si parlano usando espressioni francesi. In Banlieue ragazzi armati attendono un carico di droga e poi lo rapinano, in Sacoche la solita scenografia di armi accoppiata però ad un testo dove alcune paronomasie contrastano la violenza della parte video:/Ho sempre la sacoche con me/ Rubo i beat beat/ Faccio le hit hit/Zatla no weed weed/ Petit fait vite vite/ Porta la shit shit/ Se vuoi il feat feat/ Vuole il dick dick/ Prendo sta bitch bitch/ Sopra il beat beat/ Metto il dick dick/ Urla on shit shit/ La scena rip rip / (…) / Quartieri le barrio/ Quartiere le banlieue/ Gang gang gang gang/ Quartieri le banlieue/ Mi trovi in piazza in ogni orario/ Paw paw paw/A far la mala perché in Italia non c’è travajo. In Baby un assembramento di ragazzi festosi e ridenti, ma con pistole e mitra con un testo però sentito: Ricordo che ero solo/ Frate un minorenne e basta/ Senza soldi in tasca/ Bandana in testa, testa Vallanzasca/ Ho la guerra in testa, mica in testa i rasta/ Ho promesso giuro a mamma/ Tuo figlio spacca a tutti sti rapper che/ Vivono, frà, ancora ancora con la mamma/ Fanno la Francia vogliono far come noi/ Io non vivo a casa con mamma/ Casa-famiglia da dieci anni boy. Anche in Lecco city l’esibizione di pistole e fucili con spari in aria risulta forzata e di maniera rispetto alle belle sequenze su tanti ragazzi di varie provenienze nazionali che sono energici e festosi mentre Baby seduto si tiene in braccio affettuosamente un ragazzino. Caramba è l’unico pezzo nel quale compaiono ragazze ammiccanti, che disponibili circondano Baby in piscina, in un motoscafo, in una auto potente, in una bella villa: insomma tutti i simboli di quella che dovrebbe essere il successo goduto senza parsimonia: Mamma non mi prenderanno più i caramba/ Bamba sputano gli sbirri la mia ganga/ Stoppa prima un euro in tasca, ora un K/ Manca poco e mi compro Casablanca.

Alcott Zara Bershka sono marchi di abbigliamento da grande magazzino ed il titolo del pezzo sul tipo di devianza realmente commesso dalla stragrande maggioranza dei minori devianti del quartiere: il furto di magliette e vestiario. Il video mostra quello che mettono normalmente in atto questi ragazzini ed il fermo di uno di loro costretto a tirar fuori la refurtiva: Alcott Zara Bershka rubavamo i vestiti/ Con gli antitaccheggi lasciati nei camerini/ Era Tiki taka gli africani ed i maghrebini/ Eravamo tutti poveri, ma ben vestiti/ (…) /Cresciuto in casa-famiglia immagina che meraviglia/ In mezzo a assistenti sociali/ Mi hanno levato dalla mia famiglia.Il 26 ottobre 2020 durante la manifestazione di protesta per le chiusure anti-Covid giovani sfondano le vetrine di Gucci e Louis Vuitton e razziano dei capi. Due ragazzi egiziani vengono arrestati.

Le location meglio rappresentate perché più ispirate di Baby Gang sono sempre sul proprio territorio. Però anche quando sceglie l’ambientazione più lontana dimostra una particolare sensibilità per luoghi fortemente pertinenti rispetto ai temi più originali del suo racconto. Casablanca postato nel settembre ’21è stato girato dentro una delle baraccopoli della metropoli marocchina dalle quali si continua a fuggire migrando. Grande sensibilità di Baby per la connessione di storie tra due periferie, mentre Ghali per Whily Whily quando ricerca ambientazioni remote, sceglie lo scenario esotico del deserto e le architetture di Petra. Il video mostra i resti di uno slum e le nuove precarie costruzioni abusive con sciami di bambini e ragazzi nelle strade polverose come s’incontrano per davvero. Due giovanissimi sono pronti a tentare l’attraversamento del Mediterraneo verso la Spagna su un gommone più simile ad una camera ad aria di un camion: / Alo Baby sangue arabo, baby gang di Casablanca / Chi va piano non va lontano, mi diceva sempre Abdallah/ Sogna passaporto italiano, Baby fuma fa zanga zanga/ E fa zanga zanga moroccan son di Casablanca/ Bambini in barca a Tangia sognan di arrivare in Spagna/ 3arbi in Italia, trabajo solo con la baida/ Su un mezzo frà, senza la targa“.

Per mantenere il personaggio arte e vita Baby Gang nonostante i suoi precedenti ed il suo successo che gli dovrebbe imporre ormai delle cautele (più di dieci milioni di visualizzazioni per Treni) partecipa ad una rissa di fronte ad un locale e viene condannato ad un Daspo cioè il divieto di entrare in un qualsiasi locale di Milano. I motivi banali del fatto ritengo siano un’ulteriore prova di quanto ho presentato come “devianza spettacolare”. Lo stesso Daspo ha colpito anche Simba la rue e Rondo da Sosa. [continua]

[versione rivista, originale pubblicata su: Tracce urbane, dicembre 2021]