Fabio Tarzia

A che punto è la grande riforma annunciata da papa Francesco? Nel formularla mi accorgo che la domanda è mal posta. I tempi della Chiesa non sono quelli della polis e si misurano sulle lunghe, lunghissime durate. La domanda più appropriata allora dovrebbe essere: in cosa realmente consiste questa riforma?

Sgombriamo subito il campo dagli equivoci derivanti da una lettura distorta di stampo giornalistico-vaticanista, da una lettura esclusivamente geopolitica (la Chiesa e lo spazio cinese ad esempio), da una lettura complottista (il papa sta cercando di “fare pulizia” dentro la Chiesa cattolica divenuta ormai un sistema di malaffare nonché una fabbrica di pedofili: intento che c’è, naturalmente, ma non esclude visioni più ampie).

La riforma di Bergoglio non consiste neanche nell’apertura ai grandi nodi civili e etici del nostro tempo, omosessualità, eutanasia, gender, femminismo, sacerdozio femminile, nodi verso i quali, anzi, con grande stupore dei bergogliani “improvvisati”, la disponibilità al dialogo appare assai timida ed ondivaga (come risulta dagli atti precedenti alla votazione sul DdL Zan).

Quello che non si può

Per quanto la cosa possa dar fastidio a noi laici, c’è un nucleo ideologico del cattolicesimo che non si può alterare senza smantellare l’intera struttura dell’edificio. Non si può chiedere alla Chiesa di parlare in favore dell’eutanasia o del matrimonio tra persone dello stesso sesso perché questo esula dai suoi compiti, anche se, si potrebbe obiettare polemicamente, la cosa dovrebbe valere al contrario e dalla sponda vaticana non dovrebbero partire atti di ingerenza rispetto a questioni proprie di uno stato laico.

La strategia della Chiesa cattolica è qualcosa di molto più profondo e si ricollega al suo stesso ruolo nel mondo, cioè al suo mandato di salvezza. E’ lì a mio parere che va puntata la lente. Da questo punto di vista la riforma di Bergoglio è chiara: far ripartire la missione universale e universalistica (che è il significato di “cattolico”, poi) della Chiesa in un mondo profondamente cambiato e assai poco disposto a riceverla.

In realtà il Concilio Vaticano II (fino al pontificato di Wojtyla compreso) si era già inoltrato lungo questo tortuoso sentiero. In un mondo bipolare e cristallizzato dalla guerra fredda, la Chiesa apriva le sue braccia all’umanità, ma muovendosi come un carro armato, proponendo ovunque il suo messaggio, aprendo al dialogo, ma senza farsi contaminare dai pericoli del “relativismo”. Quando con l’89 tutto ciò finisce e il mondo comincia a globalizzarsi, il carro armato, inaspettatamente, prende ad arrancare, a perdere carburante, a insabbiarsi, quasi avesse paura di attraversarlo. Tanto per non sbagliare, allora, Benedetto XVI lo ferma, il carro armato, lo interra e lo trasforma in una fortezza che difenda tutti coloro che fino a quel momento vi sono entrati. La chiesa ai cristiani (anzi ai cattolici)!

Sono convinto che alla base delle sue dimissioni non ci sia semplicemente lo scandalo della pedofilia, o le trame della curia (anche, ma non solo): c’è l’idea del fallimento di una strategia anti-universalistica e la convinzione della necessità di cambiarla. A questo pensa il collegio cardinalizio quando sceglie Bergoglio, un gesuita, uno abituato a ragionare sulle condizioni reali del mondo, mostrando di avere una incredibile capacità di visione strategica e per certi versi politica. In questo senso solo il comitato centrale del partito comunista cinese può vantare, al giorno d’oggi, una simile lucidità.

Ma da dove pesca l’Istituzione ecclesiastica una tale spinta rivoluzionaria? No, forse mi sono lasciato prendere la mano. Rivoluzione è una parola che mal si addice al cristianesimo: essa si è già realizzata con l’avvento del Cristo. Tutto ciò che accade dopo non ne è che una logica conseguenza. La Chiesa è una istituzione di tradizione che si è lentamente adattata al mondo immagazzinando dentro di sé posizioni, visioni, soluzioni di volta in volta riproponibili.

Così l’apertura universalistica è da sempre nel suo DNA. L’ha già praticata diverse volte nella sua storia bi-millenaria. Alle origini, con Paolo di Tarso che aveva di fronte gli spazi omogenei dell’Impero romano. Nel ‘500 con le mille opportunità del Nuovo Mondo, grazie soprattutto (anche in quel caso) all’azione dilagante dei Gesuiti appena fondati.

Né unificato né vuoto: il nuovo mondo globale

Ma il mondo globalizzato odierno è molto diverso dal passato: non è né unificato né vuoto. O meglio è solo apparentemente omogeneizzato dal mercato globale di consumo, e al contempo appare profondamente individualizzato, frammentato. E’ di fronte a tale novità che si era arrestato il tentativo dell’ultimo Wojtyla e di papa Ratzinger.

La chiesa di Francesco è invece ben consapevole dell’opportunità storica di un mondo aperto ma anche della necessità di rientrarvi secondo modalità del tutto mutate. Il carro armato non va da nessuna parte in questo quadro, bisogna usare una semplice utilitaria e scendere continuamente per le strade. La proposta di Francesco è di posizionarsi in una sorta di grado zero, come ha spiegato di recente in questa sorprendente dichiarazione: … (il) primo e più importante compito della Chiesa (è) l’evangelizzazione. San Paolo VI affermò: «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare». Ecco perché il mio pensiero va oggi ad alcuni fra i Dicasteri della Curia romana che con tutto questo hanno un esplicito riferimento già nelle loro denominazioni: la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli; ma penso anche al Dicastero della Comunicazione e al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Quando queste prime due Congregazioni citate furono istituite, si era in un’epoca nella quale era più semplice distinguere tra due versanti abbastanza definiti: un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra. Adesso questa situazione non esiste più. Le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale. Nelle grandi città abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti: Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati(1).

Non c’è più l’Europa cattolica, da un lato, e il mondo vuoto lasciato dal comunismo, dall’altro. Non è come nel ‘500 quando l’Europa spezzata dalla Riforma guardava alle Americhe, ma con la forte guida di Roma. Persino Roma, oggi, appare una sede vuota dove sosta quasi solo per contratto (per così dire) un papa arrivato dai confini del Mondo, il quale nella sua prima intervista a Civiltà Cattolica parlava non a caso di una Chiesa “ospedale da campo” dopo la battaglia. La battaglia appena conclusa tra capitalismo e comunismo aveva lasciato un mondo devastato, con un solo vincitore: un capitalismo predatorio e devastante, finanziario e incontrollabile, appoggiato sui nuovi mezzi di comunicazione e soprattutto sulle opportunità offerte dalla rete.

Come muoversi in questo ambiente mutato? Va detto che strategia è veramente innovativa e credo che non si sia mai realizzata prima in termini così estremi.

Una Chiesa reticolare

Francesco immagina una Chiesa non più rigidamente centralizzata ma reticolare (un po’ come quella del primo millennio), in grado di calarsi e interagire con la varietà del mondo e di adattarsi (“gesuiticamente”) ai singoli casi, alle singole questioni in maniera il più possibile elastica.

Ciò non vuol dire che Francesco non abbia una visione ampia e strategica sul da farsi. Innanzitutto, la questione delle migrazioni e dell’accoglienza. Se non c’è più la cristianità, figuriamoci se può avere senso la costruzione di muri che delimitino gli stati in modo impermeabile. Il mondo (e l’Europa) è ormai uno spazio devastato dal trionfo del capitalismo che ha prodotto centinaia di milioni di poveri non più in grado di stazionare nelle loro terre d’origine. Continuare a tenerli al di là della barriera significa, oltre che negare il vangelo, chiudere gli occhi di fronte alle responsabilità e alle colpe dell’Occidente. Il mondo di Francesco è “contaminato” e “contaminante”, dialogante e sintetico, orizzontale e paritario.

In secondo luogo, la questione della terra con la sua problematica ecologica. Anche qui il papa parte da lontano, da Francesco d’Assisi ovviamente, dalla sua esaltazione e dal suo rispetto-venerazione per il creato che non era cosa affatto scontata a quell’epoca. Il Santo umbro rivalutava il mondo, lo percorreva in lungo e in largo, prediligendo le città piuttosto che i luoghi sperduti (dove pure occorreva ritirarsi ogni tanto per “rigenerarsi”), perché proprio riappropriandosi di quello che era stato il regno del Maligno sarebbe stato possibile risalire a Dio. Così la visione di Bergoglio non è banalmente ecologista ma profondamente cristiana e da questa angolatura profondamente anti-capitalista, là dove il capitale è il Maligno, il peccato che ha devastato il mondo e l’umanità. Qui sicuramente egli è tale molto più del comitato centrale cinese che è invece mosso da un intento chiaramente imperialista (che, lo ricordo, secondo Lenin era la “fase suprema del capitalismo”). Con questo non voglio dire che Bergoglio sia il vero comunista, ma che la sua voce, forte e autorevole, tuona contro chiunque distrugga le risorse e renda i popoli assoggettati e infelici, come nel medioevo feudale precedente all’avvento di Francesco d’Assisi.

Torniamo così alla prima questione con cui avevamo aperto questo discorso. Può riuscire una simile strategia? O meglio: la Chiesa riorganizzata a rete e calata fin dentro i bassifondi più oscuri del mondo è in grado di reggere un simile progetto? Può ritornare sulle strade come ai tempi di Paolo senza avere però un mondo disposto ad accoglierla? Può rinunciare così facilmente alla sua identità di struttura forte e centralizzata con la funzione di mediare tra Dio e l’umanità? All’opposto c’è solo la soluzione di Ratzinger: uscire dalle strade e chiudersi in una fortezza impenetrabile in attesa del cambio dei tempi. Una soluzione che tuttavia porterebbe alla rinuncia della missione evangelizzatrice.

Forse il cristianesimo è veramente ad un momento di svolta definitivo.

*La fotografia di copertina è di Alessandro Lanzetta

(1) Discorso tenuto durante l’udienza alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi – 21.12.2019 (https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/december/documents/papa-francesco_20191221_curia-romana.html).