Andrea Miconi

Lo dico subito, da ricercatore impegnato sul campo: è troppo comodo. Troppo comodo, circoscrivere il male della disinformazione al traffico di contenuti incontrollabili in rete. Troppo comodo, abusare della formula magica del factchecking, e ascriversi il ruolo di chi può giudicare sulla liceità delle idee degli altri. Troppo comodo, mettere all’indice alcuni canali – guarda caso, sempre e soltanto di area sovranista – e poi accettare dal Presidente il Consiglio l’assioma per cui non vaccinarsi significherebbe, letteralmente, morire. Troppo comodo, giustificare le mancanze del giornalismo di professione, o addirittura eleggerlo – perché anche questo ci tocca vedere – a guardiano della divulgazione scientifica. E visto che di studi sulla misinformation in rete è pieno il mondo, mi occuperò qui di altro: del sistematico esercizio di propaganda degli organi di stampa e dei mezzi generalisti.

Quanto ai media mainstream, è opinione comune che il loro errore capitale sia stato nell’incoerenza, nella propensione a dire tutto ed il contrario di tutto – sull’arrivo del virus in Europa; sulla sua pericolosità; sull’uso delle mascherine; sull’efficacia dei vaccini. Ad un’osservazione più ravvicinata e documentata, tuttavia, appare evidente come queste incongruenze siano contenute all’interno di un frame dominante, che si è consolidato già nel marzo 2020,per non essere più dismesso. Se sui sotto-temi della grande narrazione pandemica ne abbiamo sentite di tutti i colori, insomma, in termini ideologici generali è vero semmai il contrario, e qui i news media si sono limitati a servire la specialità della casa: quella per cui, in breve, non esiste alternativa possibile a come vanno le cose. Ed è impressionante come tutti gli organi si siano accodati alla linea governativa: il contenimento è un male necessario ed un dovere civico; fermare il mondo è l’unica via per uscire dalla pandemia; e dubitare delle restrizioni è da irresponsabili. Il che ci conduce ad una domanda elementare ma necessaria: è davvero così?

Alla prova dei fatti, che le misure di contenimento valgano a limitare i danni dell’epidemia non è ancora provato: ci sono tante ricerche che danno indicazioni opposte, pubblicate da riviste scientifiche comunemente considerate credibili (1) – che i media, anche qui tutti, si guardano bene dal citare. Allo stesso modo, il confronto tra paesi diversi mostra come non sempre quelli che hanno adottato le chiusure maggiori, alla fine dei conti, si ritrovino con meno morti. Nel dubbio, il buonsenso suggerirebbe di evitare contromisure così drastiche, che portano terribili effetti collaterali ed esternalità catastrofiche; ma di buonsenso, nella gestione della pandemia come nel suo racconto, ne abbiamo visto ben poco.

I sette telegiornali in coro

Per avere un’idea più chiara sul ruolo dei media, nel frattempo, abbiamo messo in piedi una ricerca insieme all’Osservatorio di Pavia, un ente privato che da decenni archivia in modo puntuale l’informazione italiana. Come sempre accade, l’indagine scientifica pone dei limiti all’immaginazione, costringe ad isolare segmenti definiti del reale, e impone parametri metodologici di scarso respiro: così da rendere difficili le generalizzazioni, e restituire risultati in poche tonalità di grigio. Come che sia, per iniziare abbiamo scelto la porzione più mainstream dell’informazione, i sette telegiornali di prima serata trasmessi dai canali generalisti – Tg1, Tg2, Tg3 nazionale, Tg4, Tg5, Studio Aperto e Tg La7 – nell’anno che va dal febbraio 2020 al febbraio 2021.

Malgrado il limitato spazio di manovra di un’indagine quantitativa, non sono mancate indicazioni interessanti: e già sul tema da cui siamo partiti, le politiche di contenimento e di salute pubblica. Ora, che chiudersi in casa sia un modo di contenere un’epidemia rimane certamente una tesi legittima: ma è, per l’appunto, una tesi, a cui se ne possono contrapporre altre, perché così funziona il dibattito scientifico. La più importante tra le proposte alternative è nota come Dichiarazione di Great Barrington, pubblicata il 4 ottobre 2020 da tre epidemiologi: Martin Kulldorff, di Harvard; Sunetra Gupta, di Oxford; Jay Bhattacharya, di Stanford. La loro tesi prende il nome di “protezione focalizzata”, e chiede di concentrare gli sforzi sulla difesa della popolazione fragile, lasciando che i soggetti non a rischio facciano una vita normale, per raggiungere l’immunità attraverso il contagio naturale. Si tratta, in altre parole, di un documento radicalmente contrario alle politiche di lockdown, messe in atto da alcuni governi occidentali sull’esempio – ed è tutto dire – del confinamento cinese.

Ci siamo quindi chiesti quanto spazio sia stato dato a questa tesi nei telegiornali di prime time, in un anno in cui si è parlato soltanto di Covid-19. Dall’analisi automatica del contenuto verbale di tutti i Tg – esattamente 1071 edizioni, nel nostro data-set, a partire da quelle del 5 ottobre 2020 – risulta che il numero di menzioni della Great Barrington Declaration sia zero: nulla; come se non fosse mai stata scritta. Ora, nel merito può ben trattarsi di una tesi sbagliata, e non sta a me giudicare: ma è significativo che non se ne sia mai parlato, pur trattandosi della proposta di tre epidemiologi di fama, sottoscritta da oltre 14.000 scienziati e 43.000 medici nel mondo (2). Si dirà che ogni redazione ha diritto alle proprie scelte, e ogni telegiornale parla di quello che vuole; e potrei perfino essere d’accordo, a titolo personale. Tuttavia una tale consonanza tra le diverse fonti è sospetta, e comunque poco compatibile con il Testo Unico dei Doveri del Giornalista, che al Titolo II, Articolo 6, chiede, in tema di contenuti scientifici e sanitari, di dare

conto, inoltre, se non v’è certezza relativamente ad un argomento, delle diverse posizioni in campo e delle diverse analisi nel rispetto del principio di completezza della notizia (3).

Simili risultati sui 20 quotidiani

Per toglierci il dubbio, abbiamo replicato la ricerca sull’archivio dei venti principali quotidiani di opinione, in base al numero aggregato di lettori tra edizione on-line e cartacea: qui in ordine sparso, Avvenire, Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, Il Gazzettino, Il Giornale, Il Giornale di Sicilia, Il Giorno, Il Mattino, Il Messaggero, Il Piccolo, Il Resto del Carlino, Il Secolo XIX, Il Sole 24 Ore, Il Tempo, Italia Oggi, La Nazione, La Repubblica, La Stampa, Libero, L’Unione Sarda. Su un totale di 3060 edizioni, i risultati sono molto simili, al netto della maggiore capienza dei quotidiani rispetto ai Tg: i motori di ricerca non consentono di calcolarlo, ma le dimensioni dell’archivio sono nell’ordine delle centinaia di migliaia di articoli. E su centinaia di migliaia di possibilità, e lungo cinque mesi, non si contano più di diciannove citazioni della Dichiarazione -main effetti diciotto, perché Il Resto del Carlino e La Nazione rimandano allo stesso editoriale di Quotidiano Nazionale. Al di là della sistematica reazione critica alla proposta, che è legittima, risalta lo spazio risibile che le viene dedicato: un pugno di articoli, visibili a stento, senza richiami in prima pagina o in home page. In più, la vocazione neo-liberista del think tank di Great Barrington, che ha ospitato la riunione dei tre studiosi, serve ad operare un facile framing politico, apparecchiando l’argomento a basso costo del conflitto tra salute ed economia (qualunque cosa si intenda per neo-liberismo, che non mi è più molto chiaro). In ogni caso, la ragione scientifica del documento viene messa in secondo piano rispetto alla sua presunta compromissione ideologica: a volte attraverso l’associazione implicita tra i due campi; a volte facendo della Dichiarazione il corollario di un misterioso progetto di egemonia finanziaria; a volte nascondendo del tutto il fatto che gli autori siano tre epidemiologi. Così, ad esempio, nel caso di Avvenire:

Lasciamo diffondere il coronavirus tra i giovani e i sani e occupiamoci solo di proteggere gli anziani e i malati, sembra essere il messaggio raccolto da un incontro organizzato dall’American Institute for Economic Research a Great Barrington che ha fatto breccia nella Casa Bianca (4).

In un colpo solo – senza che vengano citati i nomi di chi il manifesto lo ha scritto – si allude al potere dei think tank neo-liberisti e si evoca l’ombra di Donald Trump: e questa è cosa ben diversa rispetto al contestare i contenuti proposti, che di per sé è pacifico. La copertura mediale della pandemia, ha scritto David Seedhouse del caso inglese, ha insistito sul fatto che “c’è solo un lato ad ascoltare, e ha cercato di persuadere che solo un approccio” sia corretto, ed è quello che richiede obbedienza al dogma del lockdown (5). Non diversamente sembra essere andata in Italia, a quanto sembra; e qui, la domanda è scontata ma ineludibile: come sarebbe finita, se le persone avessero saputo che una larga parte della comunità scientifica – si vedrà se a torto o a ragione – è da sempre contraria al contenimento di massa?

Un’identica piega ideologica

Dal punto di vista sociologico, è facile pensare a quegli attributi di consonanza e ripetizione con cui Elisabeth Noelle-Neumann ha motivato il ritorno alla concezione forte degli effetti dei media, tra gli anni ’70 e ‘80: casi forse rari, ma evidentemente possibili, in cui tutti gli organi di informazione seguono la stessa piegatura ideologica (6). Insieme alla confusa gestione dei dati scientifici, sono “il bias nella copertura degli eventi e l’informazione asimmetrica ed incompleta” a rendere i media uno spazio di deflagrazione dell’isteria di massa, è stato osservato del racconto del Covid-19; e questo è tanto più probabile nel caso di ambienti giornalistici fortemente politicizzati (7), come è notoriamente quello italiano.

Senza entrare nei dettagli dell’analisi, per cui rimando alle pubblicazioni scientifiche in corso (8), la ricerca sulla rappresentazione mediale del Covid-19 sta confermando le peggiori ipotesi di partenza, inclusa quella – su cui mi ero dilungato nel precedente pamphlet – che riguarda la colpevolizzazione dei cittadini. Citerò, in questo senso, solo un paio di dati, estratti dallo stesso archivio testuale dei Tg trasmessi tra febbraio 2020 e febbraio 2021, e calcolati attraverso la misurazione delle distanze lessicali. Il primo riguarda il termine “assembramento”, inclusa la versione al plurale, che viene citato in 1742 diversi segmenti di Tg: e in nessuno di questi ne viene data una definizione, esattamente come il termine rimane oscuro in tutti i DPCM che ne trattano. Cosa perfino peggiore, il verbo più spesso associato al termine “assembramento” è evitare: lo stesso usato nel DPCM dell’8 marzo 2020, da cui tutto è iniziato, a conferma di una totale subalternità dell’informazione al potere politico. In più, il verbo lascia intendere come la responsabilità del contagio sia tutta sulle spalle dei cittadini – che lo possono e lo devono evitare, appunto – senza che si faccia riferimento alle tante situazioni di condivisione forzata dello spazio, in cui a fare la differenza sono l’organizzazione dei trasporti pubblici, o i protocolli di sicurezza sul lavoro. Ancora più emblematico, già che ci siamo, è che il verbo più spesso associato al termine “ragazzo”, nell’informazione televisiva, sia uccidere -e se mai accade ad una singola occorrenza statistica di spiegare lo spirito del tempo, in tutto il suo orrore, questo è uno di quei rari casi.

Insomma, per quanto si sentano (modestamente) investiti della missione di proteggerci dalle fake news, gli organi di stampa ne hanno dette di tutti i colori: il virus sopravvive sotto la suola delle scarpe; i runner spandono il contagio attraverso le stille di sudore, con tanto di fantasiosa simulazione 3D; in India è finita la legna per bruciare i cadaveri; tutto il mondo è in lockdown come noi; l’Europa guarda con invidia al “modello italiano”; la variante Delta si trasmette tra persone che si danno fugacemente le spalle; in Svezia moriranno tutti, e se lo meritano pure. Sarebbe bello poter concentrare gli sforzi sulla disinformazione on line, come fanno tanti miei colleghi: ma, come dovrebbe essere evidente, davvero non ce lo possiamo permettere.

*Questo scritto è tratto dal libro di Andrea Miconi Emergenze di Stato. Controllo sociale ed epidemie di prossima pubblicazione presso la casa editrice manifestolibri.

(1) Naturalmente, il punto qui non è prendere posizione in materia di epidemiologia: ma, più banalmente, registrare il fatto che un intero sistema – politico, sanitario, mediale – ha mentito sul dibattito in corso nella comunità scientifica internazionale. Un’indicazione ricorrente in tante ricerche è che non ci sia correlazione tra la portata delle chiusure ed il contenimento del contagio, e che gli stessi effetti del lockdown si possano ottenere con misure meno invasive. Tra i tanti articoli disponibili, segnalo quelli più comprensibili per i lettori non competenti, come me: N. Haug&altri, Ranking the effectiveness of worldwide COVID-19 government interventions, “Nature Human Behaviour”, 16 novembre 2020; V. Agrawal &altri, The Impact of the COVID-19 Pandemicand Policy Responses on Excess Mortality, National Bureau of Economic Research, Working Paper 28930, 2021, doi10.3386/w28930; C. Dimeglio&altri, Side effect of a 6 p.m. curfew for preventing the spread of Sars-Cov-2, “Journal of Infection”, 82, 5, 2021, pp. 186-230; C. R. Berry &altri, Evaluating the effects of shelter-in-place policies during the COVID-19 pandemic, “PNAS”, 118, 15, 2021; R. F. Savaris&altri, Stay-at-home policy is a case of exception fallacy: an internet-based ecological study, “Scientific Reports”, 11, 5313, 2021; N. Haider &altri, Lockdown measures in response to Covid-19 in nine sub-Saharian African countries, “BMJ Global Health”, 2020, doi: doi:10.1136/ bmjgh-2020-003319; K. Rice & V. Martin, Effect of school closures on mortality from coronavirus disease 2019: old and new predictions, “BMJ”, 371, 2020, doi: 10.1136/bmj.m3588; Q. De Larochelambert&altri, Covid-19 Mortality: A Matter of Vulnerability Among Nations Facing Limited Margins of Adaptions, “Frontiers in Public Health”, 2020, doi: 10.3389/fbubh.2020.604339; E. Bendavid&altri, Assessing mandatory stay-at-home and business closure effects on the spread of COVID-19, “European Journal of Clinical Investigation”, 51, 4, 2021; K. Karát, Covid-19: How does Belarus have one of the lowest death rates in Europe?, “BMJ”, 2020, 370, 3543; V. Chin &altri, Effect estimates of COVID-19 non-pharmaceutical interventions are non-robust and highly model-dependent, “Journal of Clinical Epidemiology”, 136, 2021, pp. 96-132; S. Wood, Inferring UK COVID-19 fatal infection trajectories from daily mortality data: Were infections already in decline before the UK lockdowns?, “Journal of the International Biometric Society”, 30 marzo 2021.

(2)https://gbdeclaration.org; i dati sono aggiornati alla fine di agosto del 2021.

(3)Ordine dei Giornalisti, Testo unico dei doveri del giornalista, 2019, https://www.odg.it/testo-unico-dei-doveri-del-giornalista/24288.

(4)R. Colombo, Contenere il coronavirus senza ampliare le disparità, “Avvenire”, 21 ottobre 2020.

(5)D. Seedhouse, The Case for Democracy in the Covid-19 Pandemic, London, Sage, 2020, p. 84.

(6) E. Noelle Nuemann& R. Mathes, The “Events as Event” and the “Event as News: The Significance of “Consonance” for Media Effects Research, “European Journal of Communication”, 1, 1987, pp. 391-414; E. Noelle Nuemann, Mass Media and Social Change in Developed Societies, in E. Katz & E. Sczcsko (eds.), Mass Media and Social Change, Beverly Hills, Sage, 1981, pp. 137-165.

(7)P. Bagus, J. A. Peña-Ramos & A. Sánchez-Bayón, COVID-19 and the Political Economy of Mass Hysteria, “International Journal of Environmental Research and Public Health”, 18, 4, 1376, 2021, p. 4.

(8) A. Miconi & E. Risi, Framing Pandemic News. Una ricerca sulla rappresentazione del Covid-19 nei news media italiani, in corso di pubblicazione.