Abbiamo scoperto una nuova e differente “Amica geniale”. Si intitola “La compagna Natalia”, è un romanzo magnificamente scritto, drammatico, lieve, capace di indagare con la stessa delicatezza ironica i sommovimenti storici e le verità interiori delle donne protagoniste. L’ha pubblicato l’editore Sellerio (186 pp, 14 euro) e speriamo che diventi presto anche un film. Questa volta l’autrice non si cela dietro uno pseudonimo, si chiama Antonia Spaliviero, peccato che sia uscita dalla scena del mondo troppo presto (il 15 giugno del 2015). Quindi parliamo di un romanzo postumo. Con suo marito, Gabriele Vacis, Antonia è stata tra le fondatrici di Teatro Settimo (occupandosi di drammaturgia e poi anche di organizzazione), una della realtà più dinamiche e attente del Paese, capace di allacciare narrazione, ricerca, indagine sul territorio, analisi teatralizzata di ingiustizie sociali e movimenti tellurici delle anime in rivolta. Chi l’ha conosciuta può testimoniare l’estrema dolcezza con cui affrontava le cose dell’arte e le complicazioni del sistema teatrale. Ma che Antonia Spaliviero fosse anche una grande scrittrice veniamo a saperlo solo adesso. Grazie al lavoro amoroso (e maniacale) di Gabriele Vacis e della loro figlia Giulietta che, dopo aver scoperto il manoscritto, hanno recuperato tra i diari e i quaderni di Antonia le parti mancanti che hanno consentito alla fine di ricomporre una narrazione organica di quegli anni e di quelle esperienze umane. «È stato un lavoro difficile. Anche perché, oltre “La compagna Natalia”, abbiamo trovato almeno altri tre o quattro racconti che con pazienza stiamo ordinando» racconta Vacis nella post-fazione del romanzo.

1968 e dintorni

Ma perché affermiamo che “La compagna Natalia” può essere letto come la nuova e, se possiamo permettercelo, un po’ più evoluta (dal punto di vista della qualità della scrittura) versione de “L’amica geniale”? Innanzitutto, anche qui il punto di vista è quello di una ragazzina che conosce la sua amica del cuore tra i banchi di scuola. Come Lila nel romanzo di Elena Ferrante, la compagna Natalia riesce a calamitare il desiderio e l’immaginazione di chi le cresce accanto. Chi narra ha delle caratteristiche che potrebbero farci pensare all’Elena Greco de “L’amica geniale”: l’acuta capacità di osservazione, il lavoro della memoria, la facilità a trovare un nome alle cose, il turbamento provocato dall’iniziazione amorosa e sessuale, materiale capace attraverso il suo sguardo di diventare subito letteratura. Anche qui si cita, non a caso, “Piccole donne” (assieme a “I ragazzi della via Pal”). E se volessimo usare una sintesi, per convincere un produttore a farne un film (o anche una serie), potremmo con una certa tranquillità affermare che abbiamo trovato la nuova “Amica geniale”, ma del Nord. In entrambi i casi, si parte da situazioni e condizioni marginali: la periferia di Napoli per il romanzo della Ferrante, Settimo Torinese per “La compagna Natalia”.
A differenza de “L’amica geniale”, “La compagna Natalia” non è un’opera monumentale in vari volumi (almeno non lo è ancora: ma le parole di Vacis ci fanno pensare che da quei quaderni potrebbero uscire altri tesori). Si svolge in un arco di tempo limitato: il 1968 e dintorni. Anche se, nell’ultima parte del romanzo, l’autrice ci racconta, per pennellate incisive e sintetiche, i destini finali dei protagonisti.

Lotta di classe

La lotta di classe e le battaglie per l’emancipazione di donne e lavoratori sono filtrati attraverso lo sguardo della narratrice, che in quel momento del tempo frequenta l’Istituto Tecnico Sperimentale per l’Addetto alla Segreteria d’Azienda, spiritosamente ribattezzato dalla giovane Antonia “Istituto Tecnico Semi Serio per Aspiranti Salme Aziendali”: per accedervi, bisognava entrare da “un budello” ricavato nella soffitta di un altro istituto tecnico per periti, riservato solo ai maschi. Una metafora neanche troppo complicata della costola d’Adamo. A portare scompiglio in questo mondo di pochi effetti speciali solo il volto di una compagna di classe, Natalia, che sembra assomigliare al Suonatore di liuto di Caravaggio. Ma ad attrarre la sedicenne protagonista del romanzo è anche l’atteggiamento silenzioso e insieme ribelle di Natalia, la spregiudicatezza con la quale, davanti alle sue compagne, dà i primi baci a un ragazzo più grande di lei. Natalia ha con sé un libro bianco con le righe rosse. Natalia è assorta. Natalia risponde alla maestra chiedendo se D’Annunzio è un grande poeta o un fascista. È di Natalia che, all’inizio, la nostra protagonista si innamora: è accanto a lei che vorrebbe dominare e cambiare il mondo. Ma poi l’oggetto del desiderio, con non pochi scossoni, si sposta su un giovane ragazzo dai capelli rossi, Fabio, che frequenta il liceo classico: si crea tra Antonia e Fabio una comunione di gesti e pensieri capace di catturare l’azione benevola del tempo. “Comunione” è una parola ricorrente che risuona tra le originali note di questa partitura narrativa, laddove l’educazione cattolica mostra i suoi bigottismi ma anche le sue idealità, che germinano là dove tutto manca. Specularmente, attraverso le gesta, spesso segrete, della compagna Natalia, seguiamo in filigrana l’accendersi delle lotte sindacali e politiche, ma anche il lato d’ombra di una ideologia che finirà con lo schiacciare l’amica, la bellissima suonatrice di liuto, nella morsa della guerra armata. Fino al gesto estremo e muto del suo privato finale.

Bob Dylan e Dylan Thomas

Il racconto, che offre anche momenti di puro divertimento (in fondo è una storia di ragazze e ragazzi), senza mai cadere nel sentimentalismo, non si affida ad una rigida logica binaria. Nel mondo di Natalia e delle sue compagne tutto cresce e si mescola, comprese le ideologie. Il padre della nostra protagonista lavora in un’officina. Suo fratello scappa presto da casa per cercare strade meno provinciali per esistere. La Fiat e l’Olivetti compongono scenografie mobili. Mentre a scuola, in mezzo a preti e maestre spaventate, appare una giovane professoressa che porta il verbo della Beat Generation: il vento della libertà arriva allacciato ai versi di Bob Dylan e Dylan Thomas, e persino alle note solenni di Beethoven. Tra vecchie e nuove canzoni, tra fantasie di suicidio ed emulazioni dell’altro, tra volontariato parrocchiale e minigonne femministe, va in scena un romanzo di formazione scolpito sui volti di giovani donne e giovani uomini colti sulla soglia tra l’incoscienza e i primi rudimenti di comprensione del mondo. Storia di un apprendistato sentimentale e intellettuale che non si rivolge solo a un pubblico femminile, “La compagna Natalia” colpisce per la grazia narrativa e per la qualità umoristica dei suoi ritratti, per le scelte sintattiche e la capacità di far risuonare nella scrittura la plasticità della lingua parlata, senza eccedere nei dialettismi. Portandoci là dove tutti abbiamo iniziato a sognare, chiedere, amare, indagare, soffrire e prepararci al dolore. «I miei morti mi mancano ogni giorno alle 17» scrive Antonia ormai grande.

Requiem

L’intero romanzo può essere letto come un requiem, un rito di seppellimento di coloro che se ne sono andati prima del tempo. Ma la vita e la morte sono talmente assorellate da impedire ogni forma di autocommiserazione. La voce della donna che narra è la voce di chi oggi non è tra noi. E’ un fatto che non può non guidarci nel viaggio-Allo stesso tempo, la storia di Antonia viene rivelata solo nella post-fazione, per cui il libro potrebbe essere letto anche senza conoscere il destino di chi narra, come se non fosse un’avventura autobiografica: e di certo in molti passaggi non lo è.
A prevalere, in ogni caso, non è la nota nera della morte. A brillare è il racconto di quella stagione della vita in cui tutto sembra possibile e al tempo stesso si comincia a comprendere che l’età dell’innocenza è già finita.
Ad un certo punto, alla classe viene annunciata la precoce gravidanza della sedicenne Natalia e il fatto che il bambino non avrà un padre. La narratrice descrive così quel momento:
«Come si chiama la sospensione che ne era seguita? Stupore? Minaccia? Pudore? Ammirazione? Vergogna? Certezza della morte? Dogma della resurrezione? Certi pensieri, per quanto si faccia, non hanno parole. È il silenzio che contempla loro, e bisogna saper tacere. La nostra classe era riuscita a trovare per qualche tempo un’unità che non aveva mai conosciuto e tra le mura scolastiche si vissero giorni di quiete. Giorni in cui la primavera, maturando, aveva adagiato nuova luce sul nostro mondo di adolescenti e quell’aria mite che suggeriva di vivere, vivere, vivere, vivere, ci aveva collocato in un intervallo di attesa sublime».