1. UFO, Urboeffimero n.6, Firenze 1968, courtesy Lapo Binazzi

2. UFO, Urboeffimero n.5, Firenze 1968, courtesy Lapo Binazzi

3.Free Speech Movement, Berkeley 1964

La pandemia rappresenta un momento di crisi del sistema, che ha evidenziato la morte dello spazio pubblico per come lo avevamo conosciuto e vissuto. Se lo spazio pubblico, rappresentato dalla piazza, ha subito profonde mutazioni da un ventennio, quando la gentrificazione ha sostanzialmente modificato la tipologia dei residenti stanziali in favore di un turismo massificato, il Covid-19 non ha fatto altro che mettere a nudo il suo stato attuale. La piazza non è più il luogo dei comizi dei partiti, dei concerti, delle proteste per il diritto allo studio e al lavoro, come era nel ventennio sessanta-ottanta. Sempre con maggiore insistenza si sono fatti grandi eventi, una politica internazionale che ha riversato ingenti risorse nelle città, si pensi ad esempio alle capitali europee della cultura che, però, non hanno messo in atto interventi strutturali, bensì un palinsesto di iniziative culturali a vari livelli che si sono dispersi nel tempo.

Nei primi anni sessanta il motore della rivoluzione sono i giovani studenti universitari che contestano il sistema accademico dell’educazione universitaria e che ha portato alla nascita dell’architettura radicale. Radicale, inteso come un moto di conoscenza alla radice delle questioni, ma soprattutto come azione contro un modo di strutturare la società. L’architettura radicale nasce a Firenze nel 1966 dopo la crisi generata dalla alluvione, quando due gruppi Archizoom e Superstudio organizzano la mostra Superarchitettura alla Galleria Jolly 2 di Pistoia.

La visione dei monumenti sospesi sull’acqua dell’Arno che ha invaso strade e piazze ha ribaltato la percezione della città, consentendo ai giovani architetti fiorentini di proporre una ricerca teorica diversa da quella proposta dall’architettura “ufficiale” del dopoguerra. Le fotografie dell’alluvione “ci restituiscono una città molto diversa dalla visione storica-afferma Cristiano Toraldo di Francia-con i suoi monumenti immersi in un fluido […] C’erano queste strane striature nere insieme alla fanghiglia dell’Arno e una situazione dinamica che immediatamente separava la scatola architettonica, il monumento, dalla sua base per cui la tettonica veniva messa in discussione da queste immagini”. Così questo cambiamento iconografico della città suggerisce ai giovani architetti una rivoluzione linguistica che viene ripresa nel progetto del 1972 Italia Vostra. Salviamo i centri storici italiani. Qui i fotomontaggi dell’alluvione dimostrano la tesi che per salvare le città c’è solo la loro distruzione “la sterilizzazione totale di quell’organismo che, nato per essere la casa dell’uomo, ne è diventato prigione e sepolcro”. La proposta provocatoria per Firenze consiste nel realizzare un’alluvione permanente i cui vantaggi sono il ripristino della situazione geologica pliocenica, realizzando un evento capace di attrarre i turisti. Ecco dunque che la crisi genera nuove opportunità di uso dello spazio pubblico, alterando e criticando il presente per reinventarsene uno nuovo, reso possibile dalla elaborazione di un pensiero teorico e politico radicale. Questa attitudine nel ripensare lo spazio pubblico appartiene alla cultura giovanile del dopoguerra e coincide con un decennio, tra gli anni sessanta e settanta, dove le sperimentazioni coinvolgono architetti, artisti, semiologi, proprio nella piazza.

Tutto si origina in America

Il pensiero radicale che si sviluppa in Italia ha origine in America e coincide con la ribellione dei giovani studenti dei campus universitari, a cominciare da Berkeley con il noto Free Speech Movement, quando il 2 dicembre 1964 lo studente di origini italiane Mario Savio contesta, di fronte a tremila studenti, l’assenza del diritto di fare attività politica e di esercitare la libertà di espressione nella università californiana, in un periodo di forte contestazione alla guerra in Vietnam e alla lotta per i diritti civili. Così nacque la controcultura, diffusasi in Europa, in Inghilterra con gli architetti Archigram che, rifacendosi alle teorie di Richard Buckminster Fuller, danno vita a una rivista “dove mass media e tecnologie avanzate si fondono-scrive Bruno Orlandoni- per proporre nuovi tipi e nuove forme di insediamenti urbani” che ebbero una grande influenza sulla nascita dei gruppi radicali italiani. Con la fondazione del gruppo radicale fiorentino UFO nel 1967, la piazza è contaminata dai gonfiabili che loro usano nei cortei studenteschi e dei lavoratori per esprimere il loro dissenso contro la politica di governo dell’università, la facoltà di architettura, e in generale contro i temi del periodo come la guerra americana in Vietnam. L’attività degli UFO da fastidio alla nomenclatura accademica perché rappresentano il supporto informativo e la propaganda del movimento studentesco. L’invenzione dei gonfiabili Urboeffimeri, generano occupazioni temporanee delle piazze del centro storico fiorentino, lanciando missili di cellophan e aria contro i simboli del potere come Duomo e Battistero. Il 26 aprile 1968 realizzano l’Urboeffimero n.5, un gonfiabile che riprende la forma della bomba, sulla cui superficie viene scritto “Potele agli studenti” (con la erre sostituita con la elle, come la pronunciano i cinesi) e sull’altro lato “Colgate con Vietcong”, a rappresentare la nota marca americana del dentifricio come simbolo della penetrazione USA in territorio vietnamita.

Il trionfo dell’analogico sul digitale

“Gli UFO erano sicuramente analogici e non digitali-scrive Lapo Binazzi. E così anche l’Utopia dei nostri Happening era analogica, con il ‘coinvolgimento’ diretto del pubblico, e non con le lezioni a distanza della Pandemia. C’è stato però un eccesso di cattiveria nella resa dei conti generazionale, che sembra aver interessato tutto il mondo. Proprio nel momento in cui la mutazione genetica si stava attuando, rivelando nuove e inedite possibilità, tutto si è improvvisamente congelato, anche il vaccino. Forse in un prossimo futuro, ci dovremo far impiantare degli elettrodi nel cervello, naturalmente a pagamento, che renderanno più facile comunicare fra esseri umani[…]Abbiamo tentato di essere felici qui e subito, e non come succedeva in passato, nei sempre rimandabili regni dei cieli e delle ideologie. Ecco quale è stato il nostro peccato originale: abbiamo, come Adamo ed Eva, avuto il coraggio di infrangere le regole, ci ha fatto molto piacere ma siamo stati puniti”.

Una riflessione amara che indica come non ci sia possibilità di cambiamento del genere umano che ci porterà senza appello all’autodistruzione. Il mercato che, anche in questa situazione, viene additato come colpevole dell’esito pandemico non morirà, si rinnoverà, si adatterà per fornirci nuove e diverse dimensioni dello spazio pubblico, ma sempre più privatizzato. L’opera degli UFO, nella occupazione delle vie e delle piazze fiorentine, ha creato la forma estetica del dissenso, che invece oggi non produce più situazioni significative, sia sul piano simbolico sia estetico, in quanto permane un problema di linguaggio. Leggere a distanza di cinquant’anni questi fenomeni ci aiuta a comprendere le opportunità che ci fornisce la crisi in atto, per ripensare la nostra presenza all’interno dello spazio pubblico senza lasciarlo all’uso esclusivo del mercato. Nel primo lockdown, nel 2020, le piazze vuote immortalate dalle webcam hanno ridisegnato la percezione dello spazio. Senza persone, senza bancarelle, senza dehors, le abbiamo rilette con uno sguardo più profondo e le abbiamo conosciute meglio, in una dimensione simile a quella dei viaggiatori del Grand Tour. Tuttavia lo spazio pubblico per essere tale non può essere un vuoto da ammirare con distacco, ma deve essere vissuto e attraversato. In quanto solo in quella tipologia di spazio si può esprimere la propria individualità politica, si possono compiere gesti radicali di contrapposizione ad un sistema dominante in tutte le sue derivazioni.

La crisi degli architetti è pandemica

La risposta degli architetti e dei designer è stata debole, basta pensare ai container CURA di Carlo Ratti o i padiglioni a forma di primula di Stefano Boeri. Ogni crisi ha generato un pensiero critico. Dopo la seconda guerra mondiale, gli architetti sono stati l’epicentro della rinascita delle città in Europa e in USA. Occorre ripartire dai fondamentali per immaginare il futuro prossimo, rileggendo le ricerche di Fuller, il grande sperimentatore, quando nella sua idea di città non si oppone al progresso tecnologico, al cambiamento del costume e degli stili di vita, ma vuole governarli attraverso il progetto. Accade con la cupola geodetica per preservare Manhattan dall’inquinamento. “Una cupola di grandi dimensioni-scrive Anna Rita Emili-si pone come limite di due condizioni spaziali: un dentro protetto, un fuori contaminato dalle leggi del progresso”. Contestualizzando questo approccio alla pandemia sarebbe interessante che architetti e designer riprendessero i temi di Fuller per isolare parti di città dove impedire al virus di entrare e contaminare i cittadini. Progettare cupole geodetiche al cui interno si svolge la vita con l’aria purificata senza batteri, con elementi naturali come piante e giardini, unità residenziali ipertecnologiche, sia nella scelta dei materiali, sia nel funzionamento e nella modalità abitativa, esito di una ricerca architettonica e non l’ennesimo render iconico inutile alla sopravvivenza della specie umana. Così l’atteggiamento radicale consiste nel rivisitare la storia dell’architettura attualizzando il messaggio di Fuller, Yona Friedman, Paolo Soleri, Constant, figure chiave che hanno immaginato e progettato una nuova idea di città partendo sempre da una crisi, sociale, disciplinare e culturale. Questo implica un diverso approccio al progetto meno mediatico e più solido, che si basi su un pensiero teorico che non si trasformi in ideologia, ma che riesca a proporre soluzioni alternative ai modelli che il mercato ci impone e che il virus ne ha decretato la momentanea morte cerebrale.

*La fotografia di copertina rappresenta il progetto “The Dome over Manhattan”, realizzato da Richard Buckminster Fuller nel 1960.