Massimo Canevacci

Il virus unifica, il vaccino divide. Quando è iniziata la svolta globale causata dal Covid, il paese si è unificato in una sorta di imprevista unità nazionale sempre attesa e mai arrivata. Canti, bandiere, messaggi: un tripudio di felicità connettiva accompagnava il virus in arrivo. Pochi mesi dopo, il vaccino ha creato la catastrofe logico-discorsiva. I dialoghi si frantumano in monologhi avvitati. I nemici storici della libertà alzano vessilli sforacchiati. Gli astrologi proclamano i quanti già vaticinati da secoli. Il centro decentrato è l’auto-rappresentazione, da me valorizzata quando coinvolgeva chi mai aveva avuto il potere di narrarsi, ma solo il destino di essere narrato (indigeni, giovani, operai…).

Ora auto-rappresentarsi è dovere illimitato per sopravvivere con la password dell’esserci. Il destino della comunicazione digitale ha frantumato questa prospettiva di liberazione dei soggetti emarginati per dilagare nella “presenza”dei funzionari diffusivi attraverso parole libere: dal futurismo al digital-cazzeggio, spezzatini linguistici di retro-guardia o, meglio, dei senza-guardia.  Da tanti indicatori emerge la combustione di quello che si intendeva per società nell’era industriale (classi, dialettica, partitiecc.) ad opera di una accesa comunicazione che sconvolge i nessi tra analogico e digitale. Quello che si intravede è una sorta di Pangea al contrario: apparentemente uniforme e continua ma di fatto un frullato che gira, mescola, aggrega e separa senza pause. E’ l’informe glocale dove tutto è stracciato e incollato su patchwork deprivati di colori, svuotati dei grigi, ammassati alla rinfusa.

William Burroughs elaborò lo stile testuale del cut-up: le frasi già scritte le tagliava e assemblava creando significati diversi che potevano avanzare all’infinito. Quella che era una matrice di avanguardia sembra realizzarsi al contrario, in una sorta di incubo comunicazionale: lo scrivere digitale diffonde mini-narrative spezzettate dove esplodono emozioni incontrollate dentro format rigidi senza inizio nè fine. Mentre il visuale digitale basato sui reel di 10 secondi ripetibili per sempre (Instagram) permette a ogni giovane di mostrarsi “fashion-sexy” e sperare di diventare influencer ricevendo migliaia di cuoricini.

Propongo l’ipotesi di approfondire la personalità digital-autoritaria che emerge tra i frammenti della comunicazione arroventata, modificando la scala “F” elaborata da Adorno (faschismus) nella sua ricerca empirica trans-disciplinare del 1950. Anti-semitismo, etnocentrismo, razzismo, superstizione non furono eliminati nel dopo-guerra e tantomeno lo sono ora, anzi, si moltiplicano senza tabù e secondo itinerari “oggettuali” diversi. Le scale interpretative per cogliere l’autoritarismo smembrato e decapitato attuale (assenza del “duce”) si possono verificare nella comunicazione digitale dei social network, nei commenti dei giornali online o delle musiche su youtube, nei pasti nudi su pornohube, dove il progetto liberatorio dell’auto-rappresentazione si realizza nell’esserci comunque e dovunque.

La stessa forma-metropoli segnata dall’asfalto esce irriconoscibile e, spesso, incomprensibile ai metodi di indagine tradizionale. I grattacieli milanesi vanno a fuoco come le campagne calabresi. I “sentieri” evocati sono network di plastica e paglia. Vi è una trama oscura che avvolge e stringe città e campagna, materiale e immateriale, libertà e dominio, pubblico e privato, analogico e digitale.

Nei flussi inesauribili della comunicazione ruotante, le parole girano senza senso, i significati si sono staccati dai concetti e vagano come arti amputati, una gamba zoppa saltella da sola, una mano monca beve caffè senza bocca, un naso staccato non annusa neanche un fiore. Le frasi sono scivolose, sintagmi di fango molle su cui stramazza l’ascolto reso, anzi, arresosi sordo a sé stesso. L’esperienza di non sentire le proprie e altrui parole può sembrare assurdo eppure emerge da tante, troppe dichiarazioni di “filosofi affermati” e di “gente comune”. L’esserci di Gianni Vattimo si adegua all’intervista del prof. Valentino Di Carloe viceversa (Cfr. le loro interviste su La Repubblica del 2/9/2021). Nessuno ascolta nessuno e tutti gridano insieme a tutti. Il mio gruppo facebook Amici del Pigneto–che con 10.191 membri dichiara “no immobiliare, no politica” – libera discussioni di ferocia supponente senza fine. Onde sanguigne sommergono le lettere che sopravvivono alle amputazioni senza anestesia. Vocali e consonanti vagano tra alfabeti insanguinati, dizionari azzerati, enciclopedie slogate senza potersi assemblare e produrre minimo senso. Virgole svirgolano, punti s’impuntano, esclamativi silenziano. Anche le pagine si sono stancate di voltarsi nei libri e giacciono sfinite. Quello che sopravvive, anzi, che stravive lucido e trionfante è il linguaggio muto di Cacciari Onnipresente, dilatato nello spazio che lo ha espulso dai libri pensosi e trasfigurato finalmente nell’esserci profetico. Digital Dasein.