Massimo Ilardi

Piazza Tahrir, Il Cairo

Pier Paolo Pasolini, Uccellacci e uccellini (1966)

Iniziamo un nuovo focus che abbiamo chiamato “la strada”. Il territorio è esplorato, attraversato, tracciato dalle strade che rappresentano lo spazio materiale sempre soggetto ad essere conquistato, quando non opera la guerra, dalla irriducibile domanda di libertà dell’individuo o dal controllo asfissiante delle istituzioni. La strada è orizzontale: ci si può allontanare, si può fuggire, sostare, viaggiare, ritornare. Può essere sbarrata da posti di blocco della polizia o da barricate erette dalla rivolta. Controllo e domanda di libertà si confrontano e si scontrano sulle strade che attraversano la città. Ma la decisione rimane sospesa e aperta alle possibili soluzioni determinate dai rapporti di forza e dalle diverse reazioni dei soggetti che le attraversano e che, di fronte alla precarietà e alla mobilità delle forme di vita, possono rifugiarsi nello shopping o nell’appartenenza alle chiese carismatiche e ai culti profetici, oppure nell’ingrossare le file delle milizie etniche e delle bande di strada, o, infine, nel provocare la scintilla di una rivolta. Sulle strade della metropoli non esiste infatti un soggetto monolitico o una tendenza unilaterale. Ma chi controlla le strade ha la possibilità di annunciare il suo sentire e il suo agire. Per questo la strada è un obiettivo da conquistare: perché oggi è sulla strada che la libertà viene continuamente rimessa in discussione, è sulla strada che si mostra l’inflessibile esigenza di visibilità dell’individuo che non ammette compromessi. Lo stesso futuro verso il quale barcolla il giovane, afferma Jean Amery, «non è tempo: è mondo, o più precisamente, è spazio», è strada. Sta di fatto però che quello che sembra essere uno dei paradossi della nostra epoca è che la strada e le sue culture sono poste sotto assedio proprio nel momento in cui la strada stessa non solo rimane al centro della vita quotidiana, ma è divenuta anche uno tra i prodotti più in voga nella cultura pubblicitaria e del consumo. Da New York a Londra, da Mosca a Pechino viene criminalizzato tutto ciò che di più vero e incontrollabile nella vita di una città si muove a livello di strada (Naomi Klein). A cominciare dai conflitti, naturalmente. Ma tutto questo avviene proprio perché sulla strada vige la libertà.

La piazza è invece rotonda, quadrata o rettangolare ma rimane uno spazio chiuso. Non si possono erigere barricate ma solo posti di blocco sulle vie di fuga e così alla fine diventa una trappola sia per i movimenti che per la rivolta. Ogni volta che la protesta sociale ha scelto la piazza dove manifestare, anzi ne ha fatto un simbolo, alla fine ha perso la piazza e il simbolo: Piazza Tienanmen a Pechino, Piazza Tahrir a Il Cairo e Piazza Taksim a Istanbul stanno a testimoniarlo. Questo avviene perché la piazza è il luogo su cui più facilmente si proietta l’azione delle istituzioni, delle loro organizzazioni di controllo, della loro memoria scolpita nei monumenti e che pretendono che diventi collettiva, della loro ideologia spalmata sempre e con rigore sulla democrazia. Nella piazza ci spingono a fermarci, a incontrarci, magari anche a discutere e a radunarci (agorà), ma sempre dentro l’ordine stabilito e costituito. Non a caso nelle periferie urbane non ci sono piazze: non c’erano nelle periferie in rivolta di Los Angeles nel 1992, ma neanche nelle banlieue parigine nel 2005 e in quella londinese di Tottenham nel 2011. E non ci sono neppure nelle periferie italiane. Nella piazza vige l’uguaglianza e non la libertà.