Mario Garzia

Quella del quartiere cagliaritano di Mulinu Becciu (Mulino Vecchio) è anche una storia di strade, oltre che di persone. È situato nell’estrema periferia nord-ovest della città all’interno di un quadrilatero disegnato per tre quarti da strade. Il quadrilatero è poi attraversato da un crocevia di importanza cruciale per il traffico in ingresso e in uscita da Cagliari.

Lungo la direttrice nord-sud, il crocevia collega alla città la strada statale 554 – una sorta di tangenziale che costeggia l’agglomerato urbano – mentre la direttrice ovest-est fa da raccordo tra l’inizio della statale 131 – confine ovest del quartiere e principale arteria stradale della Sardegna – all’Asse Mediano di Scorrimento, che taglia in due l’area metropolitana.

Il crocevia è condiviso con il quartiere di Su Planu (Il Piano) appartenente al comune di Selargius. Anch’esso è posto dentro un quadrilatero stradale inserito come un’enclave all’interno del comune di Cagliari, si estende al di là della strada di confine est di Mulinu Becciu.

I due quartieri “cugini”, entrambi distanti dal centro dei loro rispettivi comuni, costituiscono un’unica periferia metropolitana che comprende anche il più importante ospedale della Sardegna. Un ecosistema residenziale immerso nel verde, dotato di tutti i servizi e ben collegato dai mezzi pubblici: caratteristiche che lo rendono molto appetibile nel mercato immobiliare e per questo non alla portata di tutte le tasche.

Fallimenti e successi

Fin qui non ci sarebbe nulla di strano se tutto ciò non fosse, paradossalmente, il risultato di un fallimento di pianificazione urbana. Fallimento che però ha portato involontariamente a un esperimento sociale pienamente riuscito. L’idea di Mulinu Becciu viene infatti concepita in conseguenza dell’entrata in vigore della Legge 167, che nel 1962 introduce i Piani di Edilizia Economica e Popolare (PEEP).

Tra i vari obiettivi, si prefiggeva di favorire l’integrazione dei nuovi quartieri popolari nel tessuto urbano esistente, consentendo ai comuni interessati di acquisire tramite esproprio aree centrali a prezzi inferiori a quelli di mercato. La legge inoltre obbligava i comuni a comprendere nei PEEP i servizi complementari necessari a rendere i quartieri autosufficienti.

Lo spirito della legge, anche in ragione della sempre più impellente emergenza abitativa, venne in gran parte disatteso in tutto il Paese, e Cagliari non fece eccezione. L’area individuata per la costruzione di Mulinu Becciu si trovava all’epoca in piena campagna coltivata a vigneti – nella quale sorgevano alcuni mulini – e quindi parecchio distante dal centro pulsante della città. A sud, essa era separata dall’ultimo quartiere prima della campagna dal piccolo Colle di San Michele e dal cimitero omonimo che oggi fanno da zona cuscinetto tra Mulinu Becciu e il resto della città.

Nel 1966 l’area venne ampliata fino all’estremo confine del territorio comunale, a ridosso della 554 che, per lungo tempo e a dispetto della sua funzione, non rappresenterà nient’altro che la linea di confine del quartiere a nord. Infatti, fino a qualche anno fa, dalla statale non era possibile accedervi, così come dal quartiere non era possibile immettervisi.

Le lucciole scomparse

Per distinguerla da quella originaria, la nuova area di ampliamento del PEEP fu denominata Mulinu Becciu 2: è proprio da qui che poi si inizierà a edificare il nuovo quartiere. La costruzione del primo nucleo di palazzi dell’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) risale al 1972 e l’unico modo per raggiungerlo è percorrere una lunga strada sterrata non servita da mezzi pubblici, priva di illuminazione e frequentata dopo il tramonto da due tipologie di lucciole, oggi entrambe scomparse.

All’inizio del 1976 i lavori sono quasi ultimati ma l’assegnazione degli appartamenti subisce diversi ritardi. Una delle ragioni è la mancata realizzazione di buona parte delle opere di urbanizzazione primaria, innanzitutto le strade, che in caso di pioggia diventano pantani impercorribili.

È così che nell’aprile del 1976 undici appartamenti vengono occupati abusivamente. Alcuni degli assegnatari, stanchi di aspettare e timorosi di restare con le pive nel sacco, occupano a loro volta. Dopo varie vicissitudini e lunghe trattative fallite, lo sgombero coatto degli abusivi avverrà nel novembre del 1977.

Contemporaneamente viene coniata anche l’altra faccia della medaglia del quartiere. A partire dal 1975 lo IACP assegna alle cooperative edilizie a proprietà indivisa il diritto di superficie delle aree di Mulinu Becciu 1 – ovvero la prima zona individuata col PEEP – e quelle non ancora edificate di Mulinu Becciu 2. L’assegnazione è resa possibile dalla Legge 865 del 1971 che, intervenuta a emendare la 167, di fatto ne sconfessa gli obiettivi per venire incontro al mito dei nuovi ceti emergenti di possedere una casa di proprietà, a danno dei ceti meno abbienti.

La Alfa e la Marghine sono tra le prime cooperative a costruire i propri palazzi. Le soluzioni architettoniche adottate ricalcano il modello di molte periferie europee e prevedono ballatoi esterni comuni e tecniche di costruzione prefabbricata. Se viste dall’esterno sembrano case popolari – a differenza di alcuni palazzi edificati dallo IACP, non a caso identificati dagli abitanti del quartiere come “Le villette” – all’interno gli appartamenti della Marghine si sviluppano addirittura su due livelli.

La cooperativa Alfa, nel progetto iniziale, prevedeva anche la costruzione di un piccolo centro commerciale integrato, sacrificato in fase di costruzione a favore di ulteriori unità abitative, in barba allo spirito della 167. Non a caso i servizi commerciali sorti nel quartiere nel corso degli anni saranno, per almeno un decennio, sottodimensionati rispetto alle sue esigenze.

Infatti, ben presto i palazzi delle cooperative, dalle quali prendono il nome, si moltiplicano. Sorgono anche palazzi destinati alle forze dell’ordine e ai dipendenti di vari enti pubblici e nella prima metà degli anni Ottanta i lotti sono stati quasi tutti edificati. Mulinu Becciu supera ormai i diecimila abitanti e quello che secondo la 167 doveva essere un quartiere popolare ma moderno e autosufficiente è divenuto il dormitorio della “piccola borghesia impiegatizia”.

Nel frattempo, diviene finalmente raggiungibile attraverso una strada asfaltata che dalla città si insinua nella zona cuscinetto contribuendo a costituire quello che ora rappresenta l’asse nord-sud del crocevia.

A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta sorge anche il quartiere di Su Planu, anch’esso abitato dai nuovi ceti emergenti. Ben presto il quartiere selargino sopperirà alla carenza di servizi di Mulinu Becciu. A sua volta, il quartiere cagliaritano darà linfa vitale alle attività commerciali di Su Planu che oggi conta quattro piccoli centri commerciali. Intanto, anche le strade interne al quartiere sono state asfaltate e hanno una larghezza senza paragoni in città. La carreggiata delle vie principali è addirittura più ampia della vicina 554, che all’epoca ha soltanto una corsia per senso di marcia. Tuttavia, in quegli anni la loro larghezza è inutile. Il traffico, se così lo si può chiamare, è costituito dalle poche automobili dei residenti che entrano ed escono dal quartiere e nessuno “straniero” si avventura in quello che nell’immaginario collettivo cagliaritano è una sorta di Bronx.

Alle auto si aggiungono poi le poche corse della nuova Linea 14, o meglio, del bus-navetta che collega Mulinu Becciu al quartiere di San Michele. Il 14, inspiegabilmente, non prosegue verso il centro, raggiungibile dai suoi abitanti soltanto cambiando autobus. Le strade del quartiere sono inutili perfino per parcheggiare. Le auto dei residenti sono ancora poche e tutti i palazzi hanno i cortili condominiali dotati di parcheggi interni e di aree verdi. Qualcuno ha anche i campi sportivi e le sale ricreative per cui i ragazzini giocano all’interno dei rispettivi palazzi e le strade sono quindi inutili anche per giocare.

Di che palazzo sei?

Se i palazzi costruiti dalle cooperative assumono il nome delle stesse, a quelli delle case popolari gliene viene affibbiato uno. Oltre a quello delle “Villette”, un esempio su tutti è rappresentato dai “Grattacieli”, così chiamati in quanto i più alti del quartiere. E anche i più popolati: le famiglie numerose abbondano e non mancano i casi di forte disagio sociale. I nomi dei palazzi divengono così un simbolo identitario di appartenenza: “di che palazzo sei?” è la prima domanda che ci si sente rivolgere quando si fa una nuova conoscenza al difuori. Perché ogni tanto dal palazzo si esce. Un po’ per andare a caccia di lucertole nei pochi campi rimasti incolti, un po’ per bighellonare nei centri commerciali di Su Planu, un po’ per andare in chiesa. Ma soprattutto per andare alla scuola media, inaugurata nella prima metà degli anni Ottanta.

È qui che ha luogo quell’involontario esperimento sociale che cambierà per sempre l’anima del quartiere: i ragazzini di diversa estrazione, che inevitabilmente coincide col palazzo di provenienza, si mescolano tra loro e imparano a confrontarsi con la diversità, a contaminarsi e a crescere insieme. Perfino i figli dei detenuti si confondono tra i figli di chi probabilmente ha arrestato i loro padri. A bordo del 14 o in sella al motorino, si comincia a uscire dal quartiere per andare a fare “le vasche” in centro, e a incontrare coetanei di “diversa specie”, abitanti di un “mondo altro”.

Nasce un forte senso di appartenenza a un luogo e a una comunità. In breve tempo Mulinu Becciu 1 e 2 si fondono in un’unica medaglia e la distinzione tra le due zone viene accantonata. Se dal di fuori, ancora negli anni Novanta, Mulinu Becciu viene percepito come un quartiere-ghetto, nella realtà esso è già un’isola felice che i suoi abitanti considerano una sorta di gated community.

Dissoltasi pian piano fino a scomparire del tutto quando il nonluogo a scorrimento veloce rappresentato da quel crocevia si è sovrapposto al luogo. E per ironia della sorte gli “stranieri”, che un tempo evitavano Mulinu Becciu, ora sono costretti ad attraversarlo, rompendo così quel silenzio, reale e metaforico, che lo aveva caratterizzato per lungo tempo.

Fotografia di copertina tratta da Wikipedia